IL CASO
VENEZIA I treni ci sono, ma non bastano. E a settembre, quando riapriranno

Lunedì 1 Giugno 2020
IL CASO
VENEZIA I treni ci sono, ma non bastano. E a settembre, quando riapriranno le scuole e tra i pendolari ci saranno anche gli studenti, il sistema rischierà di andare in tilt. Motivo: per evitare contagi da coronavirus, i mezzi di trasporto pubblico viaggiano (e viaggeranno) per metà vuoti. Non solo: proprio perché si devono ridurre i passeggeri e quindi si hanno minori introiti da biglietti e abbonamenti, potrebbero saltare i piani industriali e i contratti. Ossia: il Veneto entro il 2023 contava di rinnovare l'intero parco mezzi, rischia di restare con i vecchi treni. A lanciare l'allarme è stato ieri, nella consueta diretta social e tv, il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia: «Per quanto riguarda i treni siamo all'offerta pre Covid-19. Anzi, ci sono state delle integrazioni: tre treni straordinari sulla linea Verona-Venezia e due sulla Castelfranco-Venezia, più dieci pullman da varie località, ad esempio Dese, Noale, Spinea, sempre verso Venezia. Sono mezzi che viaggiano sempre pieni, considerato che la capienza è stata ridotta del 50 per cento. Ma a preoccuparci - ha detto Zaia - è anche un altro fatto: sembra che Trenitalia voglia mettere in discussione l'acquisto dei treni che avevamo concordato. È per questo che ho scritto al premier Giuseppe Conte: il Governo deve intervenire».
I CONTI
Il piano da 1 miliardo di euro prevede che Trenitalia fornisca al Veneto 78 nuovi treni entro il 2023: 2 sono arrivati l'anno scorso, quest'anno ne erano previsti 23, il resto negli anni a venire. Ma siccome è venuto meno uno dei tre canali di finanziamento - e cioè gli introiti da biglietti e abbonamenti pari a circa 400 milioni che dovevano aggiungersi alla quota messa dalla Regione e alla quota del Fondo nazionale trasporti che per il Veneto ammonta a 410 milioni - la fornitura dei nuovi treni rischia di saltare. Così come rischiano di saltare un po' tutti i contratti con le aziende del trasporto pubblico locale. «Se i conti non sono in ordine, cioè non ci sono le entrate, rischiano di saltare i contratti», ha detto l'assessore regionale ai Trasporti, Elisa De Berti.
Ma il Governo non ha previsto un fondo ad hoc di 500 milioni? «Sì - dice De Berti - ma non basteranno. Di quei 500 milioni al Veneto arriverà il 10 per cento, cioè 50 milioni che andranno a tutti i soggetti coinvolti: Trenitalia, Sistemi Territoriali, le aziende dei pullman come la veneziana Actv. Ebbene, la sola Actv - con il calo dei passeggeri anche nel settore della navigazione - ha previsto un buco di 36 milioni». Fatti due conti, servirebbero almeno 120 milioni, non 50. Anche perché c'è tutto il capitolo dei rimborsi agli abbonati: stiamo parlando di 128 milioni di euro annui da abbonamenti (103 per gomma e navigazione più 25 per il ferro, circa 10 milioni al mese) e siccome per due mesi il 95% dei passeggeri è stato a casa, le aziende dovrebbero restituire sotto forma di voucher o proroghe 20 milioni di euro. Nella lettera al premier, Zaia è stato chiaro: o il governo mette dei fondi, oppure salteranno i servizi. Da giovedì 4 giugno, intanto, Trenitalia avvierà la sperimentazione del contingentamento su alcuni treni, che dovrebbe poi diventare funzionale dal 14 giugno. «In pratica - ha spiegato De Berti - non riuscendo Trenitalia ad attuare il servizio di prenotazione, succederà che raggiunta una certa soglia tra abbonati e pendolari, si bloccherà la vendita dei biglietti».
LA CRITICA
«Apprezziamo l'impegno, ma la Regione - ha detto Erika Baldin, consigliere regionale M5s - non si può tirar fuori dalla mischia e chiedere ai gestori, Trenitalia in primis, di contingentare gli accessi. Deve stanziare fondi in più e ottenerne altri da Roma, ma soprattutto organizzare un meccanismo integrato di comunicazione digitale, orari, offerta, organizzazione regionale».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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