IL CASO
TREVISO La paura parla la stessa lingua. A Treviso come a Wuhan. La doppia

Mercoledì 8 Aprile 2020
IL CASO
TREVISO La paura parla la stessa lingua. A Treviso come a Wuhan. La doppia faccia dell'isolamento sociale fa infatti convivere solidarietà e spirito di conservazione. E così capita che a due passi da piazza Duomo, in pieno centro storico nella città delle mascherine obbligatorie anche per passeggiare, una signora sui 70 anni caduta a terra dopo essere inciampata venga ignorata e schivata dalle auto in transito. Nessuno presta soccorso, tranne l'autista di un autobus, l'unico a fermarsi per offrire il proprio aiuto. Effetti del timore da contagio. «Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque» afferma Arone B., il dipendente della società di trasporto pubblico trevigiana. Chiunque, tranne quegli almeno cinque automobilisti che hanno tirato dritto. Una scena già vista in Cina dove per mezz'ora un anziano, colpito da infarto, è stato lasciato esanime a terra nell'indifferenza delle poche persone che gli passavano accanto. Aveva la mascherina e nessuno si avvicinava perché si pensava fosse infetto. A Treviso, come a Wuhan, il coronavirus è stato capace di fare lo stesso: tradurre il timore di essere contagiati nella totale noncuranza del prossimo.
IL TIMORE
«Spero davvero che si sia trattato soltanto di distrazione - afferma il sindaco di Treviso, Mario Conte - In caso contrario è un episodio che non si deve ripetere più. Mai far mancare l'aiuto alle persone in difficoltà». Messaggio ricevuto. Anche il primo cittadino condanna il gesto. Ma non crede che il periodo di quarantena forzata sia la causa di questo comportamento. «I trevigiani si sono sempre distinti per la solidarietà di cui sono capaci - continua -. Se fossi passato di là sarei stato il primo a intervenire, e invito i cittadini a continuare a tendere la mano, con tutte le precauzioni del caso. Non credo comunque che il coronavirus stia generando menefreghismo, non è quello che percepisco dalla gente». È indubbio però che il distanziamento sociale ha attecchito, così come il sospetto che l'altro possa essere un pericolo. «Potrebbe essere proprio la paura del contagio ad avere spinto quegli automobilisti a non fermarsi - sostiene invece l'autista della Mom -. Se la stessa scena si fosse verificata qualche mese fa avrei pensato diversamente. Una cosa che ci ha insegnato il coronavirus è che siamo tutti fragili, e in situazioni come quella di ieri mattina non tutti possono reagire allo stesso modo, anche se sono sicuro che qualsiasi altro mio collega avrebbe fatto quello che ho fatto io». Interpretazioni diverse, identica conclusione: ormai, nel dubbio, meglio stare distanti. E quello che fino a gennaio sembrava quasi un obbligo morale, ora viene dipinto come un gesto di solidarietà va oltre il consentito.
IL FATTO
Erano le 7.55. Arone B. era partito dalla stazione ferroviaria da una manciata di minuti. Al termine di via Cesare Battisti, diretto verso il Duomo di Treviso, ha scorto sul lato sinistro della strada, appena terminato il passaggio pedonale, una signora a terra. Era appena andata a fare la spesa ed era inciampata sul bordo del marciapiede. In una città deserta era ben visibile. Una dopo l'altra sono sfilate almeno cinque auto, e nessuna si è fermata. «Ho messo di traverso l'autobus e sono sceso ad aiutarla - racconta l'autista - Non si era fatta nulla ma non riusciva a rialzarsi». Si è assicurato che stesse bene e poi è ripartito. Sul mezzo c'erano altre sei o sette persone. Nessuno si è mosso. Solo una signora ha chiesto cosa fosse successo, ma niente più. «Era la cosa giusta da fare. Noi abbiamo mascherine e guanti per lavorare, ma non ho pensato al contagio - conclude Arone B. - Siamo formati anche per comportarci così in queste situazioni». Terminato il turno di lavoro, l'autista, 53 anni, da 29 in servizio a Treviso, ha ricevuto una telefonata dalla sala controllo esercizio della Mom. Era la signora che voleva ringraziarlo e che aveva chiamato in questura per poterlo rintracciare. «Mi ha fatto piacere, ma non ho fatto nulla di particolare» conclude Arone, ignorando che la paura della gente, a Treviso, è la stessa che a Wuhan.
Giuliano Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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