IL CASO
ROMA Siamo arrivati alle accuse di «tradimento». La Lega ieri

Giovedì 18 Luglio 2019
IL CASO
ROMA Siamo arrivati alle accuse di «tradimento». La Lega ieri ha usato questo termine, finora riservato alla sinistra, per definire il comportamento dei 5Stelle in Europa. M5S e Lega, nel day after dell'elezione di Ursula von der Leyen, navigano nella tempesta. Con un'incognita che irrigidisce le posizioni e coinvolge il premier Giuseppe Conte in una mediazione delicatissima: la nomina di un esponente leghista nella squadra della nuova presidente della Commissione.
Nomina appesa a un filo, tanto che ormai in ambienti della maggioranza non si esclude più che, a spuntarla, sia un tecnico gradito a Matteo Salvini. Anche se fonti leghiste, a Strasburgo, puntano allo scontro: «Il nostro nome sarà di valore, se ce lo bocceranno sarà come un atto di guerra», avvertono. Intanto le tossine dello strappo M5S-Lega sul voto in Europarlamento sono tutt'altro che smaltite. «Non votare von der Leyen sarebbe stato un voltafaccia», sottolinea il M5S che, in un post, attacca la Lega: «C'era l'accordo che i cosiddetti sovranisti votassero von der Leyen. Poi la Lega all'ultimo secondo ha scelto di sfilarsi, pur di colpire noi si è condannata all'irrilevanza».
BOTTA & RISPOSTA
Durissima la replica della Lega, che in una nota parla di «sabotaggio» in Europa e di un M5S che ha «barattato una svolta storica per una poltrona», tuonano i salviniani. L'aria che si respira a Strasburgo tra i leghisti è, del resto, di stampo pre-bellico. Nessuno fa trapelare il minimo rimorso per il no di ieri. E poco importa se von Der Leyen avesse il placet del premier Giuseppe Conte, che ha osservato gelido la svolta leghista sull'ex ministra tedesca. Fonti di Palazzo Chigi ricordano come il premier abbia lavorato per il miglior interesse del Paese e non di bottega, scongiurando che la Commissione fosse guidata da un'esponente temuta in Italia come la Vestager. Ma ora, sottolineano le stesse fonti, la partita per il commissario si fa molto più complicata.
Il punto è conciliare un esponente leghista come commissario ad un programma di governo europeo che la stessa Lega ha bocciato. A questo punto calano le possibilità che sia Giancarlo Giorgetti il profilo scelto: toppo rischioso mandare un uomo chiave della Lega sulla graticola di Strasburgo e, in ogni caso, in un esecutivo non certo amico.
Intanto a Bruxelles il tema dei migranti segna subito gli effetti del voto contrario della Lega nell'elezione di Frau Ursula von der Leyen. La radiografia dei problemi di dialogo interni alla maggioranza di governo italiano arriva durante un dibattito tenuto nell'emiciclo europeo e dedicato alle ong e caso Sea Watch. Anche in questa occasione M5S e Lega hanno adottato linguaggi diversi.
Sostiene l'eurodeputata M5s Laura Ferrara: «Il piano del ministro Moavero per una soluzione europea della crisi dei migranti va nella giusta direzione». Il distacco rispetto alle tesi leghiste è compiuto, alla chiusura dei porti d'intenzione leghista risponde il nuovo piano appoggiato dei Cinquestelle che contempla praticamente il suo opposto.
A sostegno di Matteo Salvini, il gruppo sovranista di Identità e democrazia, dove siede la Lega, e i Conservatori Ecr, che hanno chiesto un blocco navale al largo della Libia. E se la socialista Julie Ward definisce Carola Rackete «un'eroina», Mara Bizzotto della Lega non ha parole tenere: «La Rackete è una che ha violato le leggi italiane e in qualunque altro paese al mondo sarebbe in galera. Ci sono italiani stanchi di un'Europa amica dei clandestini». Parole distanti da quelle dei pentastellati.
Italo Carmignani
Diodato Pirone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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