IL CASO
MILANO Il 3 marzo, giorno della fatidica riunione del Comitato tecnico

Domenica 9 Agosto 2020
IL CASO
MILANO Il 3 marzo, giorno della fatidica riunione del Comitato tecnico scientifico nazionale, l'assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera ammette: «Ci preoccupa l'oggettivo forte incremento dei casi» di coronavirus nella zona di Alzano Lombardo. Che, si ipotizza, potrebbe diventare zona rossa. «Abbiamo chiesto all'Istituto superiore di sanità di fare valutazioni e suggerire a noi e al governo le migliori strategie», spiega. Aggiungendo che nella bassa Val Seriana «ora c'è il numero più alto di contagiati» in Lombardia. Ma quanti siano già i reali portatori del virus la Regione non lo sa: i tamponi vengono fatti solo ai sintomatici, non c'è un controllo sul territorio, il virus sfugge alle blande maglie del monitoraggio. Così i dati ufficiali trasmessi al Comitato sono sottostimati: i positivi, nella provincia di Bergamo, erano già 200 in più.
LA MAPPA
L'allarme della Regione arriva dunque a Roma già depotenziato. Alle 18.25 l'unità di crisi del Pirellone spedisce una mail al presidente dell'Iss Silvio Brusaferro, allegando una mappa con lo scenario dell'epidemia in provincia di Bergamo e un file con i dati del contagio. In realtà il virus già correva, soprattutto a Nembro, Alzano, ad Albino e Villa di Serio. La Regione comunica di aver identificato 372 positivi sottoposti a tampone, ma il database dei contagi reso pubblico dall'associazione OnData lo scorso 26 aprile mostra una situazione diversa: i positivi erano 579 e a causa del ritardo nei controlli sono venuti alla luce solo nei giorni successivi. Troppo tardi per una valutazione oggettiva della bergamasca. Con i veri numeri, più gravi, forse non si sarebbe traccheggiato fino al 7 marzo, quando tutta la Lombardia divenne zona arancione. E la Lombardia, messa alle strette, probabilmente sarebbe stata costretta a decretare Alzano e Nembro zona rossa in autonomia, come consentito decreto legge 6/2020. «Aspettavamo una decisione del governo», si difende Gallera. Che non arriva. Nel verbale del 3 marzo il Comitato tecnico scientifico propone di «adottare le opportune misure restrittive» anche a Nembro e Alzano, il 5 marzo carabinieri, polizia ed esercito sono pronti a cinturare la zona ma dall'esecutivo non partirà mai il via libera. E sulla questione si registrano gli inciampi del premier Giuseppe Conte: «Non ho visto il documento del Cts», dice nell'audizione del 12 giugno davanti ai magistrati bergamaschi, ai quali ha presentato una sua memoria in cui ricostruisce quanto avvenuto tra il 22 febbraio e l'11 marzo, dal primo lockdown a Codogno, nel lodigiano e a Vò Euganeo, alla zona arancione in Lombardia, fino al Dpcm che ha decretato la chiusura in tutta Italia. Ma dopo l'uscita del documento del Comitato il premier rettifica: «Del verbale del 3 marzo ne sono venuto a conoscenza il giorno 5. Non riferisco di quel che ho detto ai pm di Bergamo, ho il vincolo del segreto istruttorio». Sull'immobilismo della Regione Lombardia e la mancata decisione dell'esecutivo la Procura ha aperto un fascicolo per epidemia colposa, l'obiettivo è chiarire se vi siano responsabilità ma anche se si siano verificati interventi indebiti dall'esterno. «Come confindustria Bergamo non abbiamo fatto alcuna pressione e il governo avrà deciso come meglio riteneva», taglia corto Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo.
LE PRESSIONI DELLE AZIENDE
Il ruolo forte, e dietro le quinte, degli imprenditori locali per bloccare la zona rossa è un punto che la Procura sta approfondendo: il polo industriale della Val Seriana ha un fatturato da 850 milioni di euro all'anno, sospendere la produzione avrebbe causato pesanti perdite. Anche se proprio dalle joint venture internazionali strette dalle aziende locali, in particolare con la Cina collegata tramite voli low cost dallo scalo di Orio al Serio, sarebbero partito il contagio. Intanto sull'istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano è scontro aperto, via twitter, fra il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e l'assessore Gallera, che afferma: «Noi abbiamo fatto il nostro dovere». Ma Gori rilancia: «Ci sono richieste ufficiali agli atti? Avete raccontato che secondo i vostri costituzionalisti la Regione non aveva il potere di istituire la zona rossa. Peccato che tu stesso, un mese dopo, hai raccontato d'aver approfondito e verificato che avrebbe potuto farlo».
Claudia Guasco
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci