Il capo M5S non vuole chiudere al Carroccio C'è il muro dei gruppi: «No Luigi, è un errore»

Martedì 20 Agosto 2019
IL RETROSCENA
ROMA «Vediamo, aspettiamo». Luigi Di Maio prima di entrare all'assemblea congiunta dei gruppi parlamentari del M5S nonostante tutto era (ed è?) ancora possibilista su una pace (clamorosa) con Matteo Salvini. «Se Conte non si dimettesse subito e Salvini votasse il taglio dei parlamentari, allora potremmo rimetterci intorno a un tavolo: rinegoziare il contratto su 5 punti qualificanti per noi e non subire il rimpasto secondo i loro desiderata. Anzi, saremmo noi a dire a Salvini che non può fare più il vicepremier. E lui accetterebbe: datemi retta, si potrebbe continuare almeno fino al 2020, almeno», sono queste le considerazioni che il Capo politico del M5S affida a uno strettissimo giro di consiglieri intorno all'ora di pranzo.
Alla base di tutto c'è una premessa, messa sul tavolo anche durante il vertice con Beppe Grillo a Bibbona: «Andare avanti con il Pd, con i gruppi guidati da Renzi, per noi sarebbe complicatissimo. A questo punto meglio il voto subito». Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri e anello di congiunzione tra Luigi e Dibba, parla di «acqua e olio». Due elementi che non si legano. Di Maio sa che un'altra maggioranza con i dem potrebbe cancellare parte dei suoi fedelissimi, a partire dai ministri Fraccaro e Bonafede. Non a caso il segretario Pd Nicola Zingaretti, molto scettico sulla riuscita dell'operazione, mette comunque le mani avanti e parla di «rinnovamento» nel caso nascesse un nuovo governo.
LO STOP
La tentazione di un ritorno con Salvini, seppur complicato, pervade lo stato maggiore del M5S. Stefano Buffagni, sottosegretario molto ascoltato, dice ai suoi che «non dobbiamo precluderci alcuna via, tutte le porte devono rimanere aperte». Per la prima volta, però, la linea (attendista se non aperturista) del Capo politico è minoranza nella pancia del Movimento. E non solo perché Beppe Grillo e Roberto Fico spingono per un'intesa «sui temi» con il Nazareno. Sono proprio i gruppi parlamentari a chiudere qualsiasi abbocco con la Lega. Durante la riunione si susseguono circa 60 interventi. Non se ne conta uno che vada verso il Carroccio. «Non ci sono i margini», dice Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla presidenza di Palazzo Chigi pontiere con il centrosinistra, prima di ficcarsi nella riunione a porte chiuse.
Deputati e senatori grillini parlano di «una legislatura che duri cinque anni». E provano a dividere il Pd da Renzi: «Il punto non è lui, ma i contenuti: la Lega ci voleva morti, non dobbiamo avere rimorsi», ribadisce il questore grillino Federico D'Incà, da sempre vicino a Fico. Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali aggiunge: «L'obiettivo è ridimensionare Salvini e metterlo in minoranza». I big non parlano in assemblea. I peones in compenso mandano messaggi ai vertici. Soprattutto alla linea di comando di Di Maio che in caso di elezioni anticipate vorrebbe una deroga alla regola del secondo mandato: «Invece no, non ci deve essere il terzo giro, magari chi rimarrà fuori potrà collaborare». Un messaggio che molti vedono indirizzato non solo al leader, ma anche per esempio a Paola Taverna, vicepresidente del Senato, presente al vertice domenicale a casa di Grillo, ma ieri silente.
I TUTOR
In generale i commenti e le dichiarazioni prendono tutti un unico verso. Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze delle Camera, parla già di «punti condivisi e trasparenti con il Pd».Di Maio prova a tenere comunque il punto. Da una parte attacca ad alzo zero Salvini spiegando che «non è più affidabile», dall'altra prende tempo e vuole capire le mosse di Conte e quelle del Colle. In molti notano che gli affondi del Capo politico al leader della Lega rimbalzano nel nulla: «Stanno manovrando?», si chiedono i grillini più disincantati. Alcuni parlamentari (Sportiello, Giarrusso, Lattanzio, Ricciardi) chiedono al capo politico di allargare il team della crisi che ora sarà aperto anche ai 14 capigruppo delle commissioni parlamentari. A conti fatti in serata, nell'attesa dello show-down di oggi, Di Maio si ritrova a confidare: «Se salta il governo, meglio il voto che andare con il Pd».
Simone Canettieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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