«Il capo leghista ha fatto il pieno, ma paga il fattore uno-contro tutti»

Martedì 28 Gennaio 2020
«In un certo senso Matteo Salvini è finito nella sindrome di Matteo Renzi: l'uno contro tutti. Ha alzato i toni, ha delimitato il suo campo, ha ottenuto un grande risultato ma non ha vinto». Per Alessandra Ghisleri, guru di Euromedia Research, questa è una delle lezioni che emergono dalle urne appena chiuse.
Qual è il dato delle regionali emiliano-romagnole che la colpisce di più?
«Non ho dubbi: la breve distanza fra le due coalizioni. Non vorrei essere fraintesa: Bonaccini ha vinto benissimo, il Pd ha mantenuto un suo baluardo importante e ha avuto più successo di quanto lo stesso Pd si aspettasse. E tuttavia la distanza fra le due coalizioni è di soli 58.695 voti pari al 2,71%. Un dato che fa riflettere».
Perché?
«Perché è il frutto di un confronto senza esclusione di colpi. Salvini ha scelto di politicizzare al massimo la competizione anche con gesti clamorosi mentre dall'altra parte si è risposto annunciando (spiegandolo frettolosamente) un aumento a 100 euro del bonus di 80 euro del governo Renzi e Stefano Bonaccini ha accentuato il suo profilo di buon amministratore».
Risultato?
«Le mosse di Salvini hanno funzionato perché il suo circuito ha risposto ma la politicizzazione ha oscurato oltre ogni limite la sua candidata e persino la bella vittoria della candidata del centrodestra in Calabria, Iole Santelli, che è la prima donna presidente di una Regione del Sud».
Ma puntare sul caso Bibbiano in quel modo ha pagato?
«E' un discorso delicatissimo perché tocca temi emotivi, sentimentali e valoriali come la famiglia. Direi tuttavia che più che gli errori o presunti tali del centro-destra sono stati i meriti del Pd a farlo prevalere».
Quali meriti?
«Innanzitutto il valore aggiunto di Bonaccini che ha saputo portare a sé circa 150.000 voti in più di quelli raccolti dalla coalizione di centrosinistra».
E poi?
«Il rapporto con le periferie urbane. Il Pd non ha vinto solo in quasi tutte le città ma anche nelle periferie urbane».
Cosa vuol dire?
«Che spesso c'è una differenza importante fra le città e la provincia dove il centro-destra prevale. Quella sulle periferie emiliane è una grande differenza rispetto, ad esempio, a Roma. Il modello di governo emiliano resta apprezzato da larghi strati della popolazione perché mantiene un solido e fecondo rapporto col territorio».
E le Sardine?
«Hanno fatto entrare in campo forze fresche. Lo si vede dall'affluenza: in aree emiliane dove il centro-destra è forte, come Piacenza, l'affluenza è rimasta grosso modo stabile, mentre nelle aree a più forte influenza del centrosinistra si è verificata una mobilitazione. Il Pd ha fatto il pieno assorbendo tutti i voti, anche dei suoi alleati».
Dia un consiglio a Forza Italia emiliana?
«Ha perso voti soprattutto verso Fratelli d'Italia che hanno fatto spazio a amministratori locali ex di FI. Sommando i voti delle due forze si vede che erano al 10% circa alle europee e oggi sono circa all'11. Forza Italia deve recuperare quella rete di contatti, come la Santelli ha fatto in Calabria».
E i 5Stelle?
«Di Maio si è tolto la cravatta di capo politico prima del voto. Un gesto importante. Non hanno saputo sostituire la casta contro la quale erano nati per combatterla».
Provi a sintetizzare la giornata di domenica.
«Una Regione ben governata ha confermato il suo modello mentre una Regione mal governata ha deciso di cambiare cavallo».
D.Pir.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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