Furto di gioielli a Palazzo Ducale, la modalità ricorda le Pink Panthers

Sabato 8 Settembre 2018
LA TECNICA
VENEZIA Sono trascorsi otto mesi dal furto dei gioielli a Palazzo Ducale, otto mesi di indagini che sembrano aver condotto gli investigatori alla rotta dei Balcani. Una talpa a Venezia e un sistema di fuga collaudato, che pare abbia coinvolto più automobili per portare fuori dall'Italia i gioielli del Maharaja. Lo sviluppo delle indagini rimane top secret, ma l'organizzazione così cauta e raffinata tanto ricorda le Pink Panthers, la banda con gli ex militari dell'ex Yugoslavia, Montenegro e Serbia, nota per rapine eclatanti in tutto il mondo.
LE NOVITÀ
«Presto daremo delle risposte» ha detto un paio di giorni fa il capo della Polizia Franco Gabrielli, lasciando intuire che le indagini sono vicine ad una svolta. Affermazione confermata giovedì dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. «Lo dicono loro - riferendosi a Gabrielli - io non devo dire nulla, anche se lo so da un po' di tempo - ha confermato Brugnaro - Lascio lavorare gli investigatori e la Procura, com'è giusto che sia. Credo però che il capo della Polizia abbia detto qualcosa di vero». Cresce dunque l'aspettativa, e naturalmente la curiosità, attorno a quello che si è candidato per essere il furto del secolo.
LADRI CAMALEONTI
Quel 3 gennaio gli investigatori sono partiti da un particolare fondamentale: le immagini delle telecamere di videosorveglianza al Ducale, che hanno ripreso in faccia i ladri, se pur con i volti parzialmente coperti, l'uno dalla sciarpa e l'altro dal berretto. Ladri che entrano nel Palazzo l'ultimo giorno in cui era possibile visitare la mostra, e non a caso, dopo giorni di tensione che stanno per volgere al termine per gli uomini della sicurezza, e dopo vari falsi allarmi per le bacheche sensibilissime alla minima vibrazione nella Sala dello Scrutinio, dov'erano custoditi i gioielli. Due uomini che entrano vestiti in un modo, ma se ne escono con altri colori addosso. Come? Voltando le giacche: nelle immagini all'ingresso sono scuri, ma in quelle dell'uscita il più giovane ha addosso un piumino color fucsia e il più anziano uno di colore verde. Sono riusciti a rubare moltissimo, tre milioni di euro, con una mano. Portando via in un pugnetto gli orecchini e la spilla di diamanti della collezione privata di Hamad bin Abdullah Al Thani, membro della famiglia reale del Qatar. Lasciano Venezia alla velocità della luce: quando gli agenti della Polizia si recano ai parcheggi di Piazzale Roma e Tronchetto con le immagini per vedere se qualcuno li riconosce, di loro non c'è traccia. Fuggiti in auto, questa è l'ipotesi. Forse con più auto. Da Piazzale Roma o Tronchetto ancora non si sa. Possibile che i due siano anche saliti in taxi, separati, e qualche complice li attendesse poco più in là.
Sempre nel campo delle ipotesi. Non hanno lasciato nulla al caso, men che meno le tempistiche e i mezzi di trasporto. E per questo potrebbero aver cambiato più auto durante il tragitto per far uscire i gioielli dall'Italia. Almeno sei le persone coinvolte nella batteria, ma potrebbero essere molte di più, senza contare il basista, anzi, forse una donna basista, veneziana. Una tecnica così particolare da ricordare le Pink Panthers, quella gang che dopo poco più di un mese, a febbraio scorso, ha colpito anche una gioielleria a Lugano, in Svizzera. Ma cosa sa di questi malviventi? La realtà sconfina nella leggenda. Il nucleo originario (l'attività risale agli anni 90) era composto da militari dell'ex Jugoslavia, reduci delle guerre dei Balcani. Addestrati all'uso delle armi e al muoversi nell'ombra, hanno utilizzato queste abilità per mettere a segno saccheggi e rapine spettacolari. Con il trascorrere degli anni si sarebbero poi reclutate nuove leve, per restare in termini militari, e sempre di origine slava. Anche per loro, un ricambio generazionale.
Giorgia Pradolin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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