Fuori la protesta: «Qui dovete chiudere» Ma in fabbrica l'applauso degli operai

Sabato 9 Novembre 2019
IL CASO
ROMA Quella di Giuseppe Conte a Taranto non è stata una passeggiata. No davvero. Novanta minuti di contestazioni davanti ai cancelli della fabbrica da parte di quanti si battono per la chiusura dell'Ilva. Ma anche novanta minuti di ascolto e confronto da parte del premier che, pur essendo stato avvisato dalla Digos della presenza di gruppi di antagonisti, è sceso dall'auto e ha ascoltato per un'ora e mezzo le richieste spesso urlate di qualche delegato di organizzazioni sindacali di estrema sinistra ma anche delle madri del quartiere Tamburi con bambini malati. L'urlo pià alto che unificava i vari spezzoni anti-Ilva presenti nella popolazione tarantina era chiarissimo: chiudete subito l'acciaieria.
Conte, in mezzo alla folla, protetto con difficoltà dagli uomini della scorta, si è confrontato. E a chi gli chiedeva esasperato una soluzione immediata per la situazione dell'Ilva di Taranto, ha confessato di non avere «la soluzione in tasca». È stata una immersione nelle tensioni, nella esasperazione dei cittadini tarantini da anni in bilico tra salute e lavoro, e logorati dall'incertezza sul futuro, la visita a sorpresa allo stabilimento ex Ilva di Taranto del presidente del Consiglio. Che ha deciso di «metterci la faccia» spendendosi in prima persona per una vertenza che sta facendo fibrillare il governo.
«Uno deve avere il coraggio di affrontarla questa situazione e chiudere la fabbrica - gli ha gridato una donna - si faccia ricordare dalla storia». «Qui ci sono più morti che nascite - gli ha detto una madre che abita nel vicino quartiere Tamburi, quello più provato dall'inquinamento dell'Ilva - abbiamo fiducia nelle istituzioni, ma non fatecela perdere». Il premier, spesso interrotto dai più agitati, ha cercato di parlare con tutti chiedendo a ciascuno quale sia la sua situazione personale. «Tu lavori?», ha chiesto ad un uomo. «No sono disoccupato», gli ha risposto lui sottolineando che «Arcelor Mittal non si è comportata bene». «Questa città chiede altro, perché continuate ad insistere su questa fabbrica?» gli ha chiesto un altro. «Io sono un abitante del quartiere Tamburi - ha detto Giuseppe - vivo qui da 38 anni, sono disoccupato e ho rifiutato di lavorare nel siderurgico. Ho molti conoscenti che si sono ammalati e morti per questa fabbrica».
LA SECONDA FASE
Intorno alle 19 il premier è entrato dentro lo stabilimento dove il clima era molto diverso visto che è stato accolto dagli operai con un applauso. Conte ha incontrato il consiglio di fabbrica e gli operai in attività che ieri, a dire il vero, non hanno partecipato in massa allo sciopero indetto dai sindacati confederali. Dentro lo stabilimento fra gli lavoratori interessati a difendere il loro posto il premier ha registrato la diversità dell'umore rispetto alle proteste davanti ai cancelli.
All'incontro hanno presenziato i responsabili sindacali della fabbrica e anche i segretari territoriali di Cgil, Cisl e Uil. «Sembra l'aula di una lezione universitaria», ha detto Conte prima di cedere il microfono ai rappresentanti sindacali. Il segretario generale della Uilm, Antonio Talò, ha chiesto al premier «di fare presto perché gli impianti marciano al minimo e sono destinati alla fermata totale senza provvedimenti» e ha auspicato una soluzione per «salvaguardare il diritto alla salute e il diritto al lavoro». Il segretario Fim Cisl Valerio D'Alò ha ricordato che le richieste di chiusura della fabbrica vengono dal sindacato Usb ma non dalla maggioranza dei lavoratori. Il coordinatore delle Rsu della Fiom Cgil Francesco Brigati ha affermato che «in questa fase abbiamo bisogno della politica e della scienza. Più volte abbiamo chiesto politiche industriali che non mettano in contrapposizione salute e lavoro. Per quanto riguarda la scienza, abbiamo chiesto più volte la Viias, valutazione integrata di impatto sanitario e ambientale per stabilire se la produzione è compatibile o meno con questo territorio».
A.G. e D.Pir.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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