Foggia, il mistero dell'agente: stermina la famiglia e si uccide

Domenica 13 Ottobre 2019
IL CASO
FOGGIA Uccide moglie e figlie mentre dormono e poi, dopo aver chiamato i Carabinieri per denunciare l'accaduto, si mette a letto e si spara alla tempia. È accaduto nella notte tra venerdì e sabato a Orta Nova, comune a una ventina di chilometri da Foggia.
LA PISTOLA
Ciro Curcelli, 53 anni, assistente capo della polizia penitenziaria nel carcere del capoluogo, senza nessun motivo apparente e probabilmente mentre i familiari dormivano, con la sua pistola d'ordinanza prima ha sparato alla moglie Teresa Santolupo di 54 anni e poi alle due figlie Valentina e Miriana di 18 e 12 anni. Alle 2,30 ha chiamato i Carabinieri della stazione locale: «Ho ucciso mia moglie, ho ucciso le mie figlie. Ora mi uccido. Lascio la porta aperta». Quindi, secondo le prime ricostruzioni che hanno fatto gli investigatori, si è steso sul letto accanto alla moglie e si è sparato un colpo alla testa. I carabinieri giunti immediatamente nella sua abitazione al terzo piano di una palazzina nella periferia della cittadina, hanno trovato l'uomo ancora in vita, tanto che l'hanno trasferito d'urgenza all'ospedale di Foggia, ma è morto durante il tragitto. Nessun biglietto in casa per spiegare la strage e nessun segnale premonitore, né tra i vicini di casa che in tutta la giornata di ieri l'hanno definita una persona a modo, forse un po' chiusa ma legatissimo a moglie e figlie, né tra i colleghi di lavoro. Così come il figlio più grande dell'uomo, Antonio di 26 anni, scampato alla mattanza perché a Ravenna dove da anni vive per motivi di lavoro. Avvisato nella notte e subito rientrato a Orta Nova, anche Antonio Curcelli subito interrogato dai Carabinieri non ha saputo trovare alcuna motivazione. Così come non le trova Marco, il fidanzato di Valentina, la figlia più grande di Ciro, che ieri continuava a ripetere che «erano brave persone, tranquille senza problemi. Non mi ha mai parlato di nulla o di problemi familiari» pur ammettendo di non conoscere direttamente l'omicida suicida. «Eravamo fidanzati da un anno e sette mesi», e quando «Valentina aveva problemi, io ero al suo fianco per affrontarli e rimaneva sempre con il sorriso». A raccontare qualcosa in più la vicina di appartamento che ha spiegato che «non abbiamo sentito né un litigio, né un grido. Mio figlio ha sentito un colpo ma non pensavamo fosse un colpo di pistola. L'unica cosa che ho notato è che ultimamente lui era un po' depresso. Stava un po' tra le nuvole. Lui stravedeva per la moglie e le figlie e anche per l'altro figlio che lavora a Ravenna».
I SINDACATI
Anche sul lavoro nessuno ha trovato una motivazione che poteva far presagire a un simile gesto. Il collega Daniele Capone che lo conosceva da 15 anni e con il quale ha svolto anche l'ultimo turno il giorno prima della strage, ha raccontato che «era un uomo discreto, raramente parlava della famiglia» aggiungendo che «non ha mai manifestato disagio o comportamenti anomali». L'episodio però ha allarmato i sindacati di categoria con Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), il quale pur ammettendo che «non sappiamo se era percepibile o meno il disagio che viveva il collega che ha prima ucciso la moglie e le figlie e poi si è ucciso» è tornato a chiedere «soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del personale di polizia penitenziaria».
Antonio Calitri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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