Fiducia, solo 156 sì Ma Conte: avanti, rafforzarci al centro

Mercoledì 20 Gennaio 2021
LA STRATEGIA
ROMA «Il governo è salvo, questo risultato però è solo un punto di partenza». Alle dieci di sera, quando il pallottoliere di palazzo Madama assegna al governo una maggioranza relativa di 156 voti, Giuseppe Conte festeggia solo a metà. Già guarda alle prossime settimane, a quel «percorso di rafforzamento dell'esecutivo» preteso dal Pd e suggerito dal Quirinale. «Perché con pochi voti di scarto e senza una maggioranza assoluta non si governa», riconosce il premier che fino al giorno prima aveva fatto filtrare che bastava «anche un solo voto in più» per andare avanti.
Anche se insoddisfacente, abbastanza lontano dalla maggioranza assoluta di 161 voti (Italia Viva si è astenuta), il risultato di palazzo Madama è stato sudato. Decisamente sudato. Il premier ha dedicato l'intera giornata a lanciare appelli. E, al pari del sottosegretario Riccardo Fraccaro e del dem Goffredo Bettini, ad arruolare «volenterosi». Il bottino: i forzisti Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi e, ripescati all'ultimo secondo e in modo rocambolesco, il socialista Riccardo Nencini (stava con Renzi) e l'ex M5S Lelio Ciampolillo. Un vero e proprio caso: la presidente Elisabetta Casellati aveva dichiarato chiusa la votazione, i questori (dopo aver visionati i filmati) l'hanno fatta riaprire. E al governo sono arrivati 2 voti in più.
Conte ha usato come arma di persuasione anche la minaccia delle elezioni anticipate: «Sotto una certa soglia di voti, il premier si dimetterà, salirà al Quirinale e a quel punto nessuno potrà escludere le urne», hanno fatto filtrare i suoi. E in Aula, nella replica, il premier ha gridato: «Certo, c'è un problema di numeri! E se non ci sono, il governo va a casa...».
Passata la Grande Paura, superato lo choc, «si lavorerà a rafforzare il governo», spiega Bettini che è il pontiere tra Palazzo Chigi e il Nazareno, «lo faremo con i tempi giusti, quelli necessari». Tutto gennaio. Forse anche metà febbraio, se dovesse servire. «Da questo voto si avvia un percorso», aggiunge Bettini, «parte un processo politico per costruire la terza gamba della coalizione, quella liberal-moderata-europeista, che si affiancherà ai 5Stelle e al Pd-Leu. Se la gamba diventerà robusta, si andrà avanti e si farà il patto di legislatura e il nuovo governo: il Conte-ter. Se invece si rivelasse fragile, varato il Recovery Plan, superata l'emergenza della pandemia, garantiti gli ammortizzatori sociali dopo il blocco dei licenziamenti, si andrà alle elezioni». Presumibilmente tra maggio e giugno.
NEL CARNIERE DEL PREMIER
Conte condivide questa road map. Tant'è, che ha già messo in un cassetto la delega all'Agricoltura da affidare, assieme al ministero della Famiglia e a un paio di posti da sottosegretario, a chi verrà indicato dal (per ora ipotetico) gruppo dei «volenterosi» dove si spera entrerò qualche altro renziano (oltre a Nencini) e qualche altro forzista o ex M5S (oltre a Causin, Rossi e Ciampolillo). Il timore del premier però è quello di restare nella palude (le Commissioni parlamentari rischiano di essere ingovernabili) e di veder accrescere la sua debolezza. Per questo ha cercato a cercherà «senza sosta» altre adesioni alla terza gamba della coalizione. Lo farà spingendo (come chiede da mesi il Pd) anche per una legge elettorale proporzionale. «Bisogna riconoscere a tutti la rappresentanza», ha scandito in Senato. Quasi a voler puntare su una soglia di sbarramento molto bassa. Cosa che non ha fatto felice Nicola Zingaretti.
L'altro timore del premier è uscire ridimensionato da questa partita. Così tra i suoi c'è chi si dice contrario all'ipotesi del Conte-ter. Perché vorrebbero dire dimissioni, consultazioni del capo dello Stato e reincarico. «Un percorso», sostiene un senatore vicino a Conte, «da cui Giuseppe potrebbe non uscirne affatto o uscirne decisamente indebolito se, com'è prevedibile, quando si azzererà la squadra di governo, vorranno affiancarlo con uno o due vicepremier, un nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio targato Pd. Senza contare che Giuseppe ha anche dovuto annunciare la disponibilità a cedere la delega ai Servizi».
Resta, insomma, in Conte la «paura di salire al Quirinale», come ha fotografato Renzi nel suo discorso. Ma Bettini prova a tranquillizzare il capo del governo: «Il Conte-ter si farà, se poi serviranno le dimissioni lo deciderà Mattarella». Della serie: si potrebbe fare un rimpastone e siglare il patto di legislatura. Il tutto senza dimissioni. Ipotesi gradita a Conte, ma per molti decisamente improbabile, anche perché senza dimissioni è praticamente impossibile cambiare i ministri.
In tutto questo il premier è allarmato per la situazione dei 5Stelle, il suo vero scudo. Sono ancora senza un leader e Conte non esclude il rischio-implosione. «In una condizione di questo tipo fare un rimpasto è difficilissimo, figuriamoci un nuovo governo», dice un ministro grillino, «il Movimento rischia di diventare una maionese impazzita».
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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