Faro dei pm su una parcella di Bianchi finita nelle casse della fondazione Open

Sabato 21 Settembre 2019
L'INCHIESTA
ROMA Soldi entrati nelle tasche dell'avvocato Alberto Bianchi e girati alla fondazione Open in diverse tranche. Alla base dell'inchiesta della procura di Firenze, che ha iscritto il nome del presidente dell'ex fondazione renziana sul registro degli indagati con l'ipotesi di traffico di influenze, c'è un grosso incarico professionale, ottenuto da Bianchi tra il 2015 e il 2017. I soldi del compenso, poi, sarebbero finiti sui conti di Open, la cassaforte renziana, nata per finanziare le iniziative dell'ex presidente del Consiglio, a cominciare dalla Leopolda. La guardia di Finanza si è presentata tre giorni fa nello studio del professionista e adesso i militari esamineranno bilanci e conti della fondazione. Ma il lavoro degli inquirenti riguarda anche gli incarichi del professionista, che negli ultimi anni è entrato nei consigli di amministrazione di parecchie aziende. Non ultima Enel. Non è l'unico atto eseguito dai militari che, nei giorni scorsi , avrebbero acquisito documentazione anche presso alcuni enti.
Il sospetto del procuratore Giuseppe Creazzo, dell'aggiunto Luca Turco e del pm Giuseppina Mione, che valutano anche il reato di finanziamento illecito, è che Bianchi, al vertice della Fondazione renziana, abbia fatto in qualche modo da mediatore, garantendo vantaggi anche a chi gli assegnava quell'incarico.
L'INCARICO
Gli inquirenti vogliono stabilire se abbia solo sfruttato le sue conoscenze per ottenere nomine ritenute illecite o comunque legate alle sue amicizie con personaggi influenti. Il fatto che il compenso incassato per quella nomina sia stato frazionato e versato nelle casse della Fondazione ha però determinato la necessità di altre verifiche. Sulle relazioni dell'avvocato con pubblici ufficiali non ci sono dubbi, il nodo è invece stabilire se Bianchi si sia limitato a mediare con pezzi del governo o se, invece, la parcella non fosse solo un modo per schermare un finanziamento alla Fondazione, nel qual caso si configurerebbe l'ipotesi di finanziamento illecito. Visto che i soldi, poi, sarebbero stati impiegati per promuovere e finanziare le iniziative politiche di Renzi. Bianchi non commenta e si è già detto «troppo amareggiato». Il suo difensore, l'avvocato Antonio D'Avirro, invece, annuncia: «Stiamo valutando con Bianchi, se fare o meno ricorso al Tribunale del Riesame per il sequestro dei documenti»
LA FONDAZIONE
Nata nel 2012, era Bing Bang, l'enclave di fedelissimi renziani, il cui scopo era supportare le attività e le iniziativa di Matteo Renzi fornendo contributo finanziario, organizzativo e di idee. Cambia presto nome e diventa Open. Nel consiglio direttivo sedevano Maria Elena Boschi (segretario generale), Marco Carrai e Luca Lotti, componenti del cosiddetto giglio magico. Fino al 2018, quando Renzi decide di chiudere. I finanziatori sono stati tanti e generosi. In sei anni la fondazione porta a casa 6,7 milioni di euro. Tra i più prodighi, Davide Serra, fondatore del fondo Algebris (225mila euro), l'armatore Vincenzo Onorato (150mila euro) e British american tabacco (110mila euro), l'argentino Corporación América, con interessi nel settore aeroportuale, con 25mila euro. Una lista lunga, sparita insieme al sito, da un anno oscurato, che comprendeva anche i versamenti pay pal, ma incompleta: la fondazione, che pubblicava l'elenco delle donazioni, ha garantito l'anonimato ai donatori che non avessero autorizzato la diffusione dei loro dati. Un terzo dei componenti resterà sconosciuto.
Valentina Errante
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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