Farmaci, per averli griffati gli italiani spendono di più

Domenica 28 Luglio 2019
LO STUDIO
ROMA Agli italiani continuano a piacere i farmaci griffati, anche se quelli generici costano dal 20 al 50% in meno e sono efficaci ugualmente. I nostri connazionali sono così diffidenti nei riguardi dei farmaci equivalenti da spendere complessivamente un miliardo e 200 milioni di euro in più all'anno per avere quello di marca. Questa infatti è la cifra che nel 2018 è stata sborsata per pagare la differenza di prezzo tra il prodotto di marca e quello senza brand. A calcolarla è stata la Fondazione Gimbe, integrando i dati del rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti con quelli dell'ultimo rapporto Osmed dell'Agenzia italiana del farmaco.
I RISULTATI
Dai risultati si evince che nel 2018 degli 1,608 miliardi di euro sborsati per il ticket sui farmaci solo il 30% è relativo alla quota fissa per ricetta (8 euro pro capite), mentre il rimanente 70%, ovvero 1,126 milioni (18,6 euro pro capite) è imputabile alla scarsa diffusione dei no brand. Non stupisce quindi che, secondo l'Ocse, Italia è al penultimo posto su 27 Paesi. Nel report della Fondazione Gimbe si calcola inoltre che la spesa per il ticket dei farmaci è aumentata del 12 per cento rispetto al 2014. Non perché è aumentato il quantitativo di medicine acquistate, ma perché c'è la tendenza ad acquistare quelle di marca anziché i più economici generici.
«Spicca - sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta l'ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti nelle Regioni del Centro-Sud nelle quali si rileva una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale». La regione dove si spende di più pur di avere un farmaco griffato è il Lazio, dove si calcola una spesa per quelli di marca superiore di 24,7 euro pro capite all'anno. Seguono la Sicilia con 24,2 euro pro capite annuo, la Calabria con 23,6, euro e la Campania con 23 euro.
Il motivo di questa resistenza ai farmaci equivalenti è imputabile, secondo gli specialisti, alla scarsa cultura del generico. Per questo si ritiene il ruolo dei farmacisti molto importante. «Da uno studio pubblicato circa un anno fa emerge che a fronte di una ricetta medica priva della dicitura non sostituibile - i farmacisti propongono al paziente un medicinale equivalente nel 74% dei casi, mentre il 26% si dichiara riluttante a dispensare l'equivalente in assenza di una specifica richiesta», dice Enrique Häusermann, presidente Assogenerici. Maggior cautela emerge in presenza di pazienti fragili o con particolari patologie. «In questi casi - continua Häusermann - solo il 31% dei farmacisti dichiara di proporre sempre il passaggio a un farmaco equivalente. Allo stesso modo se è il paziente a esprimere dei dubbi sull'efficacia di un medicinale equivalente, l'85% dei farmacisti intervistati provvede a consegnare quanto richiesto dal paziente».
Difende l'operato dei suoi il presidente di Federfarma, Marco Cossolo, secondo il quale è vero che in Italia la cultura del farmaco generico è poco diffusa «ma questo non dipende certo dai farmacisti». In farmacia, aggiunge, «consigliamo sempre i generici. Abbiamo fatto numerose campagne di informazione, fin dalla prima nel lontano 2001». La colpa sarebbe quindi dei cittadini che li rifiutano per paura che abbiano una scarsa qualità. Notevoli progressi sono stati invece fatti sul fronte dei medici. «L'epoca delle resistenze da parte dei camici bianchi alla novità rappresentata dai generici risale a oltre un decennio fa ed è esaurita da un pezzo: da alcune statistiche emerge che, fatte 100 le prescrizioni di medicinali fuori brevetto la clausola di non sostituibilità prevista dalle normative a tutela della sacrosanta libertà prescrittiva del medico - è utilizzata dai professionisti solo nel 3% dei casi», conclude Häusermann.
Valentina Arcovio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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