Entrate e risparmi dal welfare decisivi per evitare la bocciatura

Giovedì 20 Giugno 2019
LO SCENARIO
ROMA Tre passaggi per arrivare al deficit al 2,1 per cento del Pil, il valore che dovrebbe consentire al nostro Paese di avvicinarsi al suo obiettivo di medio termine e in questo modo evitare che scatti la procedura per debito eccessivo. Ieri sera a Palazzo Chigi è stato formalizzato il primo passaggio, il taglio definitivo dei due miliardi di spesa dei ministeri congelati a dicembre. Per farlo serviva appunto una delibera del Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Economia e delle Finanze. Ma, visti i tempi stretti della trattativa con l'Unione europea, Conte e Tria hanno giocato d'anticipo. La legge di bilancio prevedeva infatti che il monitoraggio avvenisse entro il mese di luglio, con comunicazione da parte del ministro dell'Economia nei dieci giorni successivi. Il fatto di decidere subito, stabilendo che quei soldi vanno usati per evitare un deterioramento del deficit, è un primo segnale all'Unione europea, per confermare l'intenzione del governo di concretizzare il calo del disavanzo.
LE STIME
La riunione di governo poi - almeno nelle intenzioni del presidente del Consiglio - avrebbe dovuto fare anche un secondo passo, l'approvazione del disegno di legge di assestamento di bilancio, che prende atto delle più favorevoli stime in materia di entrate, tributarie ed extratributarie. Quando i ministri sono arrivati a Palazzo Chigi, lo scenario più probabile era che si completasse solo un primo esame del provvedimento, e l'approvazione definitiva fosse rinviata ad un momento successivo. I numeri sono quelli già enunciati nei giorni scorsi da presidenza del Consiglio e Mef: oltre 5 miliardi di incassi attesi in più tra maggiori entrate tributarie derivanti anche dalla fatturazione elettronica e dividendi della Banca d'Italia e di alcune società pubbliche, a cui ne vanno però tolti poco più di 2 di spese aggiuntive che si rendono appunto necessarie in sede di assestamento di bilancio, con un beneficio netto per il deficit pari allo 0,2 per cento del Pil.
Resta poi il nodo politico più delicato, il terzo tassello della manovra che non è una manovra: i consistenti risparmi che si possono ottenere dal minor tiraggio dei due provvedimenti-simbolo della maggioranza giallo-verde, il reddito di cittadinanza e l'uscita pensionistica anticipata con Quota 100. Finora la minore spesa era stata quantificata dal governo in circa 1,3 miliardi, ma l'altro giorno il presidente dell'Inps Tridico ha detto che si potrà arrivare complessivamente a tre miliardi. Destinando anche queste risorse alla riduzione del deficit, il governo si riporterebbe in linea con i parametri europei. Ma ci sono due problemi, tra loro collegati. Il primo riguarda l'Unione europea, che vorrebbe valutare le intenzioni italiane sulla base di testi non equivocabili: quindi una norma di legge che vada a definanziare i fondi dedicati nella legge di Bilancio a Reddito e Quota 100. Allo stesso tempo però le forze politiche ed in particolare il Movimento Cinque Stelle resistono perché vorrebbero utilizzare le somme risparmiate per altre finalità (Di Maio ha già parlato di un miliardo per le famiglie).
LA PARTITA PER IL 2020
In questo quadro già complicato per l'anno in corso si inserisce il tema della manovra per il 2020. Anno in vista del quale il governo ha l'onere di trovare qualcosa come trenta miliardi, ma che dovrebbe essere anche quello del debutto della flat tax, irrinunciabile per il ministro Salvini. La linea di Tria (e quella di Conte) è che la riduzione del carico fiscale si potrà fare, ma all'interno di un percorso di progressivo risanamento dei conti; e che comunque il tema andrà affrontato a partire dall'autunno. Una volta, si spera, scongiurato il rischio di procedura europea.
Luca Cifoni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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