Da Vo' alle riaperture le tappe dell'epidemia

Domenica 31 Maggio 2020
IL DIARIO
Cento giorni di emergenza Coronavirus. I tamponi e i divieti, le paure le speranze, le mascherine e le distanze, gli eroi e gli untori. Diario della crisi in Veneto: qui dove tutto è cominciato, la sera di un 21 febbraio destinato a rimanere nella storia, fino a contare 660.018 diagnosi, 19.150 contagiati e 1.917 vittime.
IL FOCOLAIO
È un venerdì, quando muore Adriano Trevisan, vittima numero uno in Italia: si accende così il focolaio di Vo'. In una riunione carica di tensione a Padova, il governatore Luca Zaia dispone i tamponi per tutto il paesino-epicentro e la chiusura dell'ospedale di Schiavonia, sulla base del piano elaborato il 30 gennaio dalla dirigente Francesca Russo. Già l'indomani scoppiano le prime scintille per il carteggio tra lo scienziato Andrea Crisanti e il direttore generale Domenico Mantoan sull'estensione dei test diagnostici. Ma non c'è tempo per le polemiche: l'incubo avanza, al punto che il 23 febbraio il presidente della Regione sottoscrive l'ordinanza del ministro Roberto Speranza che prescrive l'inizio delle chiusure e delle sospensioni per scuole, chiese, cinema, musei, discoteche. Intanto però la macchina continua a macinare numeri. Già il 24 febbraio cominciano l'allestimento di 56 tende per 900 posti fuori dai Pronto Soccorso e i massicci acquisti di materiali sanitari: 280.000 mascherine, 100.000 tamponi, 59.000 camici, 215.000 confezioni di gel, «in ordinazione guanti per il fabbisogno di tre mesi». La previsione si rivelerà azzeccata, ma le 215 assunzioni di sanitari decise il 26 febbraio non bastano. Non a caso domenica 1° marzo la chiusura di Vo' viene prorogata e tre giorni dopo la Regione aggiunge 534 posti letto, ottenendo a stretto giro di poter mantenere in servizio i 450 ospedalieri risultati negativi benché entrati in contatto con pazienti infettati. Nemmeno questo sarà sufficiente: il 7 marzo 617 dipendenti sono in isolamento e i nuovi ingaggi salgono a 525.
IL LOCKDOWN
L'8 marzo mezzo Veneto diventa zona rossa, con le province di Padova, Venezia e Treviso, che Zaia chiede inutilmente al Governo di stralciare. È il preludio al lockdown, annunciato per tutta Italia dal premier Giuseppe Conte la sera dell'11 marzo, quando si ferma (quasi) tutto, il traffico si riduce ai minimi storici e sulle città cala un silenzio che gronda incredulità. Sui balconi si moltiplicano gli arcobaleni: «Andrà tutto bene». Ma perché questo avvenga, occorre svuotare gli ospedali: il 13 marzo viene sospesa l'attività chirurgica e ambulatoriale non urgente e due giorni dopo viene presentato il piano di riorganizzazione che istituisce 13 Covid Hospital, porta i posti letto a 2.985, ne attiva altri 740 negli ex ospedali ripristinati e ulteriori 110 nelle strutture intermedie, seconda gamba di un sistema che poggia sulla sanità territoriale e spicca nel confronto soprattutto con la Lombardia.
I DISPOSITIVI E I METRI
Mentre la pandemia dilaga, i dispositivi spariscono. Il 18 marzo l'imprenditore Fabio Franceschi riconverte parzialmente la propria azienda e dona ai veneti, fra critiche e gratitudine, i primi 2 milioni di schermi protettivi. Il 20 marzo l'ordinanza regionale ammette le passeggiate «entro i 200 metri da casa»: in un Veneto costretto improvvisamente a familiarizzare con la virologia e i dpcm, si infiammano i dibattiti sul distanziamento sociale. Regione e Università vanno avanti, promuovendo il 23 marzo il piano dei tamponi «a cerchi concentrici», che implementa attorno alla rete delle 14 Microbiologie quel modello Veneto imperniato su accertamento dei casi, mappatura dei contatti e isolamento dei cluster. Come le case di riposo, che a partire dal 25 marzo diventano ufficialmente un caso, con 336 ospiti e 211 operatori positivi, nonché i primi 30 decessi. Il picco dei ricoveri viene raggiunto il 30 marzo, mentre parte il progetto sperimentale condotto dai professori Mario Plebani e Giuseppe Lippi per la diagnosi sierologica. Aprile porta con sé un'altra raffica di nuove regole: da l 3 i mercati possono tenersi ma con perimetrazione e protezioni, dal 4 i supermercati devono restare chiusi alla domenica, dal 6 l'uso dei mezzi pubblici vede l'obbligo di guanti e mascherina. È il giorno in cui, fra codici Ateco e silenzio-assenso, riparte la produzione in molte aziende: spiragli di ripresa, ma anche timori di ricaduta.
LA DISCESA
Del resto il saliscendi emotivo è destinato a continuare a lungo, fra l'entusiasmo per la macchina olandese che dal 7 aprile garantisce 9.600 tamponi al giorno e il dolore per l'anomalo record di decessi (64) il 28 aprile, il via libera al cibo d'asporto dal 24 aprile e la limitazione al giardino di casa delle grigliate del 1° maggio. Ma questo è anche il mese in cui comincia la fase 2: la riapertura della maggior parte delle attività economiche dal 4, l'avvio della donazione del plasma «per fare magazzino» dal 9, i primi sconfinamenti per le visite ai congiunti in Trentino (e poi in Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna) dall'11, la ripresa di bar e barbieri dal 18. La discesa delle curve, iniziata il 10 aprile, sembra proseguire. Il dubbio della possibile ripresa d'autunno persiste, ma bisogna essere ottimisti: Ora, Veneto!, come il piano di interventi economici presentato il 27 maggio. Altri tre giorni e sono cento.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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