CRIMINALITÀ IN VENETO
VENEZIA La chiave delle sue fortune era la paura.

Giovedì 14 Febbraio 2019
CRIMINALITÀ IN VENETO
VENEZIA La chiave delle sue fortune era la paura. E non poteva essere altrimenti, con quei nomi alle spalle: affiliato della cosca Dragone prima, esponente di spicco del clan Grandi Aracri poi. Domenico Multari, il boss di Zimella, soprannominato Gheddafi per la somiglianza col leader libico, del capofamiglia mafioso aveva la sicurezza e l'arroganza di chi non abbassa mai il capo, né di fronte alla legge né di fronte ai suoi rappresentanti. La forza di agire a viso aperto, era data dal terrore che riusciva a incutere alle sue vittime, a cui era riuscito a estorcere, in un modo o nell'altro, quasi un milione di euro. L'indagine dei carabinieri del Ros, come riportato dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip veneziano Barbara Lancieri che ha portato a sette arresti tra Veneto e Calabria e a una quindicina di indagati, ha scoperto che un imprenditore padovano, stritolato dai debiti accumulati per colpa del boss, ora vive in una roulotte. Eppure la sua azienda di forniture di legnami andava alla grande prima di conoscere Multari: un grosso appalto con una catena di negozi gli aveva dato la possibilità di fatturare cifre intorno ai 60mila euro al mese. Poi, nel 2006, l'inizio dell'incubo. La collaborazione inizia per lavoro e si sviluppa in un rapporto di amicizia. Ma Multari, di essere sua amico, non ne ha nessuna intenzione: minacce, percosse e intimidazioni sono il suo pane. E con queste armi riesce a estorcere continue somme di denaro, tra i mille e i cinquemila euro al colpo. Per un totale, in sei anni (l'imprenditore viene vessato dal 58enne calabrese fino al 2012), di 480 mila euro. Multari, per rabbonire la sua vittima gli stacca un assegno di 70mila euro, a suo dire come garanzia. Quando l'imprenditore padovano prova a riscuoterlo, però, il boss si infuria e gli fa una telefonata dal messaggio inequivocabile: «Se non ritiri subito l'assegno vengo là e ti ammazzo». Ma non è finita. Multari continua ad approfittare della sua gallina dalle uova d'oro, lo costringe a comprare immobili e terreni a Zimella, quartier generale della filiale veronese ndranghetina, aprendo un mutuo da 385mila euro. L'imprenditore inizialmente si rifiuta, ma la risposta di Multari sembra una citazione di don Vito Corleone, il Marlon Brando del Padrino: «È un piacere che non mi puoi rifiutare». È la fine: l'uomo non riesce più a far quadrare i conti. Nel 2016 gli arriva un decreto ingiuntivo di 230mila euro e perde la casa. L'altra vittima è un veronese titolare di una stazione di servizio: dal 2001 al 2006 Multari fa fare lì rifornimento ai mezzi della sua azienda edile. Senza mai pagare, però, e il debito sale a 40mila euro, salvo poi addirittura raddoppiare grazie a un'ulteriore gabola: Multari prima gli promette dei lavori gratis al distributore come compenso, poi invece glieli fa pagare. Rifiutarsi, anche in questo caso, non era tra le opzioni a disposizione.
«HO UCCISO OPPURE NO?»
La sfacciataggine di Multari e dei suoi fratelli esplodeva anche nei confronti dei custodi giudiziari delle loro case che dovevano essere messe all'asta. Per far desistere ispezioni e visite di potenziali acquirenti, i toni erano durissimi. «Avvocà, gli ho detto- attacca in una conversazione Carmine Multari -...lei non ha capito un c. dalla vita, perché te...stai uscendo con le tue gambe, non te le ho squartate a due. Che c. vuoi più dalla vita?» Atteggiamento in cui il boss, Domenico, si inserisce ricordando al legale il suo passato criminale: «Chi sa se ho ucciso, se non ho ucciso». In un altro caso, quando ai Multari era stato impedito di presenziare a una visita, sempre con lo stesso custode giudiziale Carmine rincara la dose: «Io i carabinieri non li chiamo, li faccio lavorare».
«FACCIAMO LA FESTA»
Per quanto riguarda l'altro filone di inchiesta, invece, le intercettazioni con Francesco Crosera, l'imprenditore veneziano di Meolo che l'aveva ingaggiato per far bruciare una barca per risolvere un contenzioso civile, sembrano confermare il rapporto tra i due. Quando nel 2017 salta il secondo tentativo di incendio dello yacht (grazie all'intervento dei carabinieri, che fanno spostare la barca in un porto più protetto), Multari chiede a Crosera se abbia detto al suo emissario di lasciar perdere. «Ma nooo - replica l'imprenditore - gli ho detto se non è oggi sarà domani, Bisogna fare la festa qua...». Ieri sera Crosera è stato scarcerato dal gip di Sassari (competente per territorio in cui sono avvenuti i fatti) che ha confermato l'ordinanza ma disposto gli arresti domiciliari.
BOSS DI PAESE
Un altro aspetto che emerge dall'inchiesta è l'inserimento di Multari nel tessuto sociale di Zimella: la gente del posto lo chiamava, al posto di rivolgersi a carabinieri o polizia locale, per risolvere problemi di ogni genere. Nel 2017 avviene un furto di pollame in un'azienda agricola. Multari viene contattato dal derubato e individua senza troppe difficoltà il responsabile. Quindi, fa da mediatore: «Li hai presi, lasciali in un angolo e li ritroviamo». «Andate insieme in caserma a ritirare le denunce, ok?». Caso risolto. C'era chi lo chiamava per un'auto sospetta davanti al proprio negozio, chi per risolvere questioni di vicinato, chi per chiedere che ritrovasse un'auto rubata. Questione di rispetto, o di paura, ancora una volta: chi conosce Multari evita accuratamente di averlo come nemico.
Davide Tamiello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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