Crescono i ricoveri in terapia intensiva «Ma questa volta siamo più preparati»

Domenica 27 Settembre 2020
IL FOCUS
ROMA Mercoledì 16 settembre i pazienti colpiti dal Covid-19 ricoverati nelle terapie intensive erano 207. Ieri, erano saliti a 247, tre in più del giorno prima. Una crescita rapida iniziata all'inizio di questo mese. Mai numeri così alti dalla fine del lockdown per quanto riguarda i ricoveri in ospedale. Solo nell'ultima settimana i posti letto occupati nei reparti di rianimazione sono saliti del 2-3%. Con valori superiori al 10% in alcune Regioni, si legge nel report dell'Istituto superiore di sanità. Sebbene non siano presenti segnali di sovraccarico dei servizi sanitari assistenziali - è scritto nel documento - la tendenza osservata potrebbe riflettere a breve tempo in un maggiore impegno.
L'ALLARME
E, immediatamente, ci vengono in mente le immagini dei reparti rianimazione di marzo quando i ricoverati sfioravano i quattromila. Tutti in condizioni molto gravi. Nei Paesi a noi vicini è già allarme. Le parole del ministro della Salute francese Olivier Veran disegnano la situazione: «Prevediamo che entro l'11 novembre l'85% dei posti di terapia intensiva sarà occupato da pazienti Covid. In particolare nella Regione di Parigi». In Spagna, oggi, le rianimazioni sono destinate, per il 16% dei posti, ai contagiati dal coronavirus. Nella zona di Madrid, si arriva al 36%.
Al momento, da noi, gli anestesisti, nonostante il veloce aumento dei ricoverati nei reparti dove i pazienti vengono ventilati, intubati (se le condizioni sono particolarmente impegnative), curati a pancia in giù o sottoposti a circolazione extracorporea, usano ancora parole rassicuranti. E invitano alla protezione per fermare l'escalation virale. Ma sono gli stessi a mostrare preoccupazione per l'abbassamento dell'età di chi si ammala in questo inizio d'autunno. Siamo passati dai 65-80 anni di marzo e aprile a 41 di oggi. «La curva sta risalendo e con lei i casi che hanno bisogno della terapia intensiva. Va detto con chiarezza che i pazienti di oggi non sono meno gravi di quelli che tenevamo sotto osservazione all'inizio della pandemia - spiega Alessandro Vergallo presidente dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani - non abbiamo evidenze che il virus sia cambiato. Sembra essere sempre lo stesso e con la stessa virulenza. Allerta obbligatoria».
IL CAMBIAMENTO
Il rapido cambiamento, secondo gli specialisti, va preso come un segnale d'allarme. Come un campanello capace di ricordare che cosa, in realtà, voglia dire un'impennata di casi e la conseguente occupazione dei reparti di rianimazione. Vuol dire fermare molte altre operazioni di routine che possono essere rinviate. In molti ospedali, infatti, stanno ancora smaltendo gli interventi che erano stati bloccati durante la primavera. Chi nei mesi scorsi è stato in trincea (dal pronto soccorso alla terapia intensiva), vede la possibile seconda ondata con un briciolo di speranza. Dal momento che, quasi ovunque, ci sono posti letto in più ed attrezzature ad hoc per affrontare di nuovo l'attacco nemico. Ma, sappiamo, che l'Italia da Nord a Sud, purtroppo, non è tutta uguale.
ATTENZIONE
«Va ricordato - sono le parole di Massimo Antonelli, direttore del dipartimento di Anestesia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato tecnico - che l'incremento non deve essere sottovalutato. Oggi, comunque, siamo più preparati, conosciamo meglio il nemico. Sappiamo identificare e trattare meglio i pazienti con i sintomi. A marzo il ricovero durava tre-quattro settimane, ora di dieci-quindici giorni. Ma questo non deve far abbassare la guardia. Anzi, attenzione a proteggersi sempre e al distanziamento».
Carla Massi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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