Conte teme la mina-Luigi: con i 5Stelle senza più guida braccio di ferro sui dossier `

Giovedì 23 Gennaio 2020
Conte teme la mina-Luigi: con i 5Stelle senza più guida braccio di ferro sui dossier `
IL RETROSCENA
ROMA Quanto sia poco o nulla interessato al possibile abbraccio riformista proposto dal Pd di Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio lo ha dimostrato ieri pomeriggio dimettendosi dalla guida del M5S a quattro giorni dalle elezioni in Emilia Romagna.
LA VERIFICA
Ridurre la scelta del ministro degli Esteri a «dinamiche un po' esoteriche» interne al Movimento, come sostiene seppur ironicamente Pierluigi Bersani, o alla voglia di «non vedersi imputata la sconfitta alle regionali» di domenica, come ipotizza Silvio Berlusconi, non rende giustizia alla battaglia che il ministro si appresta ad organizzare nel Movimento e, in prospettiva, nel governo. «Nessuna ripercussione», «continueremo a lavorare con Di Maio sino al 2023», ha spiegato ieri Giuseppe Conte prima e dopo le dimissioni del suo ministro da capo politico della forza di maggioranza del governo. Rassicurazioni ripetute che tentano di celare nervosismo per una decisione che - a ridosso della tanto annunciata verifica - priva palazzo Chigi di un interlocutore in grado di parlare a nome di tutto il Movimento. E' probabile che la fascia di capitano della squadra di governo passi al braccio del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Ma non tranquillizza Conte il fatto che la reggenza del Movimento sia stata affidata, da statuto e sino ad aprile, al poco duttile viceministro Vito Crimi, già noto per lo streaming con Bersani e per la voglia matta di chiudere Radio Radicale e giornali.
Conte, che a suo tempo ha molto pressato il segretario del Pd Zingaretti affinchè entrasse nella squadra di governo, da ieri sarà costretto a trattare con un altro leader esterno che, in qualità di reggente, avrà spazi di mediazione ancor più ridotti. La soluzione di dossier spinosi, da Autostrade ad Ilva, passando per Alitalia, la riforma delle giustizia e la prescrizione, da ieri si trasformano in montagne ancor più alte da scalare. E' infatti molto concreto il rischio che la già lenta macchina decisoria del governo sia costretta a segnare ancor più il passo e che risenta di quella sorta di congresso (che i grillini chiamano «stati generali»), che dovrà scegliere il nuovo leader del Movimento.
Sulla durata del governo l'ormai ex leader grillino ha cercato di tranquillizzare il premier durante il discorso al tempio di Adriano. Nella foga rassicuratoria è arrivato a sostenere che l'esecutivo ha davanti altri «cinque anni di legislatura». Ma nel profluvio di ringraziamenti non una parola nei confronti degli alleati, nè una distinzione tra l'attuale maggioranza e la precedente. Parlando in maniera indistinta di «ventidue mesi di governo» - mentre Conte non perde occasione per segnare le distanze dalla stagione con Salvini - Di Maio cerca di tener fuori il M5S dalla scelta tra destra e sinistra. Ma a preoccupare ieri sera palazzo Chigi è stata anche l'affondo che Di Maio ha fatto contro coloro che lasciano il Movimento, vanno al Misto e continuano a sostenere il governo. Il comportamento di molti ex M5S per il ministro «non è politica ma psichiatria». Una sorta di affronto personale che però permette a Conte di andare avanti e impedisce a Salvini di avere al Senato i numeri per far cadere il governo. Malgrado le telefonate che anche ieri molti esponenti del Pd hanno fatto a Di Maio dopo la decisione di dimettersi, compresa quella del segretario Zingaretti, l'ex leader del M5S attende (e forse spera) la sconfitta del Pd in Emilia Romagna in modo che nella maggioranza si ripeta il triste scenario post-Abruzzo e possa mandare definitivamente in archivio ogni ipotesi di alleanza riformista con il Pd che assegnerebbe un ruolo a Conte e non certo a Di Maio o al Dibba.
Nel tentativo di tenere a distanza i dem si coglie forse anche la nostalgia, non solo del senatore Paragone, per l'alleanza con una forza, la Lega, che viene ritenuta anti-establishment. Ma se l'obiettivo da centrare per Di Maio diventa Conte non sono da sottovalutare le voci di chi già immagina un nuovo governo - sempre Pd-M5S - ma con Dario Franceschini a palazzo Chigi. D'altra parte nel definire il presidente del Consiglio come «la nostra più alta espressione» si coglie in Di Maio una malcelata voglia di ricordare al professore di Firenze che è a palazzo Chigi per il M5S e garzie al passo indietro fatto ad agosto dallo stesso Di Maio.
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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