Conte non si arrende: «L'ok delle Camere, poi allargo al centro»

Domenica 17 Gennaio 2021
LO SCENARIO
ROMA Più si avvicina il momento della conta, più i conti non tornano. Ma Giuseppe Conte, in questo diabolico giro di parole e di numeri, vuole ugualmente andare allo show-down fissato per martedì in Senato: «Basta un solo voto in più per poter andare avanti», continua a ripetere. E un voto in più dell'opposizione, questo è certo, il governo rosso-giallo l'avrà. Dopo si apriranno due strade.
La prima: il premier, mettendo sul piatto la nascita del Conte-Ter così come gli chiedono Pd e 5Stelle, proverà a stringere un patto politico nel segno europeista con un nuovo gruppo parlamentare centrista. «Non parlatemi di Renzi, con quello ho definitivamente chiuso», continua a ripetere il capo del governo. E ci proverà nonostante che l'Udc, nel corso della giornata, si sia chiamata clamorosamente fuori: «Diciamo no a giochi di palazzo, restiamo nel centrodestra».
Ma proprio a un patto con i centristi di Lorenzo Cesa sta lavorando Conte, pronto a offrirgli uno o due ministeri (non a caso il premier si è tenuto l'interim di Agricoltura e Famiglia), una volta superato lo scoglio del voto del Senato e dunque resa plastica e definitiva la rottura con Italia Viva. Tant'è, che in serata filtra da palazzo Chigi un appello ai centristi (attualmente nel gruppo di Forza Italia) a riaprire il confronto dopo il voto di palazzo Madama: «Con l'Udc purtroppo c'è stata una battuta d'arresto, sono sorti dei problemi. Forse però con un può più di tempo si potrà costruire un accordo. Tanto più, che il progetto con questo partito per noi era e resta importante: vorrebbe dire costruire una coalizione con un soggetto politico fresco, nuovo, legato ai nostri stessi ideali europeisti». Ribadito, di riflesso, il no a Matteo Renzi: «E' il più odiato d'Italia e si è dimostrato inaffidabile e arrogante, non si può più dialogare con lui. Anche il Pd e i 5Stelle non ne vogliono più sapere».
La seconda strada, se non riuscirà l'aggancio dei centristi, sarà il governo con «maggioranza bassa, ma nella pienezza dei poteri», come dice un ministro di rango del Pd. Conte andrà avanti fino a giugno o luglio, quando l'epidemia dovrebbe essere meno aggressiva, e poi elezioni prima dell'inizio del semestre bianco. «A meno che l'esecutivo non si rafforzi strada facendo con pezzi di Italia Viva o con centristi vari», aggiunge il ministro dem, «di certo questa storia che servono i 161 voti è solo una balla che si è inventato Renzi per provare a metterci in difficoltà».
In questa situazione, al Senato si continuano a fare i conti. Si analizza ai raggi X il pallottoliere. Senza i 18 voti di Italia Viva, che anche Leu non vuole più come certifica Loredana De Petris, i rosso-gialli al momento non avrebbero più di 155 senatori. Che sono però sufficienti per andare avanti anche se la maggioranza politica, appunto, è fissata a quota 161. «E se Renzi dovesse passare dall'astensione al voto contrario», dice chi segue la trattativa, «Italia Viva si spaccherebbe e potremmo arrivare a 159 voti, forse 160. Alla Camera del resto già hanno perso un deputato, De Filippo...».
LA MOSSA DI RENZI
Lo sa bene Renzi che resta per questa ragione conferma che martedì si asterrà. E, durante un'assemblea con i suoi parlamentari, mette a verbale: «Ogni giorno che passa diventa più chiaro che la verità vince sulle veline, al Senato i nostri 18 senatori saranno decisivi visto che la maggioranza al momento è tra 150 e 152». Segue l'ennesimo appello di Teresa Bellanova a riaprire il confronto: «Abbiamo chiesto un cambio di programma e Conte ha risposto con un cambio di maggioranza. Bisogna fermarsi un attimo e riprendere il lavoro da dove è stato interrotto».
Il Pd, esattamente come Conte, tiene però il punto. Spinge per il Conte-ter con i centristi dopo il voto del Senato: «Per garantire una piena trasparenza si vada nelle sedi appropriate, quelle parlamentari, dove tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità per salvaguardare gli interessi del Paese».
Sulla stessa linea Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri fa sapere di «lavorare a stretto contatto con tutti i ministri 5Stelle e con il capo politico Vito Crimi per individuare un percorso di stabilità al Paese, al fianco del presidente del Consiglio», E, soprattutto, fa filtrare la benedizione all'operazione con l'Udc: «Ritengo valido l'appello a tutti e costruttori europei in Parlamento». Bocciata, al pari dei dem e del Quirinale, invece il tentativo di rastrellare responsabili sparsi: «Sono totalmente contrario a scendere a compromessi di bassa cucina».
Eppure anche tra i dem, terrorizzati dopo il no dell'Udc, c'è chi lavora ancora a ricucire con Renzi. «Ma sono gli orfani di Matteo, i renziani rimasti con noi per convenienza come Marcucci», dice un altro ministro del Pd. La stessa tentazione, nonostante l'appello dei vertici pentastellati, è coltivata da alcuni grillini: «Dopo il voto di martedì Conte dovrebbe sedersi a un tavolo per fare un programma di fine legislatura», spiega una fonte di primo piano del Movimento, «ed è lì che il veto contro Italia Viva potrebbe ammorbidirsi».
Non è però questa la strada scelta dal premier, Nicola Zingaretti e Di Maio.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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