Conte a Taranto: non ho la soluzione Scudo, veto 5Stelle

Sabato 9 Novembre 2019
LA GIORNATA
ROMA Niente miracoli. «Una soluzione in tasca non ce l'ho», dice il premier Giuseppe Conte affrontando la folla di contestatori all'ingresso dell'Ilva di Taranto. A poche ore dalla scadenza dell'ultimatum intimato dal governo ad Arcelor Mittal per tornare sui suoi passi, ad ammettere che servirà ancora tempo è lo stesso premier.
L'azienda per ora tace, nonostante il pressing di tutto il governo che è compatto sull'indicare la trattativa con Mittal, per ora, come la strada maestra da percorrere per risolvere la crisi. La giornata è stata segnata dallo sciopero di 24 ore indetto dai sindacati, da Jindal, a capo della vecchia cordata concorrente, che si è definitivamente sfilata e da Moody's che ha avvisato Mittal del rating a rischio se non si perseguirà, velocemente, la strada dell'addio all'acciaieria italiana. Ma sulla scena si affaccia, accanto all'estrema ratio della nazionalizzazione, anche la flebile ipotesi di un nuovo interesse, questa volta dalla Cina, nei confronti del polo siderurgico. Ci sarebbero contatti, solo informali, ma nel carnet delle mosse per uscire dall'empasse, ci sarebbe anche l'idea di indire una nuova gara.
Se servisse a togliere «alibi» a Mittal per giustificare l'abbandono dell'acciaieria, è il ragionamento che si fa nel governo e nella maggioranza in queste ore, si potrebbe anche immaginare di ripristinare una copertura, estesa e non esclusivamente per il caso dell'ex Ilva.
Ma la questione è bollente, perché rischierebbe di spaccare il Movimento 5 Stelle e di mettere pericolosamente in bilico l'esperienza rosso-gialla.
Tanto che anche Italia Viva, che per prima aveva annunciato un emendamento al decreto fiscale si mette in stand by. «Meno polemiche e più solidarietà», attacca il segretario del Pd Nicola Zingaretti.
Tutt'altra musica sul fronte M5S. «La Lega che cura i suoi interessi in Borsa presenta un emendamento, ma che lo presentino anche partiti della maggioranza senza un accordo è un problema», dice il leader M5S Luigi Di Maio lanciando un avvertimento al Pd e sferrando allo stesso tempo una stoccata all'ex alleato («non abbiamo bond di Mittal» sono pronte «querele» la risposta della Lega).
STOP PENTASTELLATO
Di Maio resta convinto che sia necessario «obbligare Arcelor Mittal a restare a Taranto». Chiedere di andare via, attacca il ministro degli Esteri, «è un'azione inaccettabile che non è presupposto per il dialogo. Mettere sulla strada 5.000 persone mi sembra assurdo». Mittal «adempia ai propri impegni, deve sviluppare investimenti, il piano ambientale, il piano industriale che si è impegnata a portare avanti», dice anche il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, precisando che al momento «questa è la prospettiva del governo».
La nazionalizzazione, comunque, resta sullo sfondo, anche se è lo stesso ministro dello Sviluppo economico, che in questo momento ha in mano la trattativa insieme al premier, ad ammettere che non è più un «tabù», mentre per il ministro pugliese degli Affari Regionali, Francesco Boccia, l'acciaio resta «strategico» e «se il mercato fallisce non è uno scandalo ma semplicemente giusto che se ne occupi lo Stato». Nettamente contrario è il segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, che in una interista al Mattino in edicola oggi dice di non «avere alcuna nostalgia per la gestione pubblica dell'acciaio che è stata per decenni la più inquinante e la meno sicura per i lavoratori»
Certo, non bisogna dimenticare che un ingresso dello Stato potenzialmente sarebbe in contrasto con le regole comunitarie, ma è una strada da percorrere in assenza di un accordo, dice l'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: l'istituto per primo (assieme a Unicredit) ha accolto la richiesta arrivata dai sindacati, e sostenuta dall'Abi, di sospendere, per un anno, le rate di mutui e prestiti per i lavoratori e i fornitori del gruppo.
Diodato Pirone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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