«Bibione, non è mafia» Otto su nove scarcerati

Venerdì 8 Ottobre 2021
«Bibione, non è mafia» Otto su nove scarcerati
L'INCHIESTA
VENEZIA Che non sia mafia, il tribunale del Riesame di Trieste lo dice senza scriverlo, ma la sua decisione ha comunque l'effetto di un'esplosione capace di far implodere l'architettura accusatoria con cui la Divisione distrettuale antimafia, la procura Antimafia di Trieste e il giudice per le indagini preliminari di Trieste, poco più di due settimane fa arrestavano nove persone con l'accusa di estorsione aggravata dai metodi mafiosi per una storia di banchetti e postazioni contesi al mercato di Bibione. Di quelle estorsioni resta ben poco: sette capi d'accusa si trasformano in due, per di più derubricati a violenza privata. Dei nove arresti già ieri pomeriggio rimaneva in piedi solo uno, ma perché non era stato fatto ricorso: tutti gli altri otto, scarcerati. Uno di loro dovrà affrontare i domiciliari - con accuse ridimensionate, e di molto - mentre gli altri sette, tornati uomini liberi, si sono visti annullata in pieno l'ordinanza che il 15 settembre li aveva portati in cella.
Ma soprattutto è stata spazzata via l'aggravante del metodo mafioso, cardine dell'impianto accusatorio. Come a dire che con la guerra del mercato a Bibione, le cosche camorristiche e i tentacoli della Piovra non hanno nulla a che fare.
IL DISPOSITIVO
Ci vorranno quarantacinque giorni per capire le motivazioni con cui il Riesame ha scarcerato tutti gli arrestati che martedì avevano discusso il ricorso.
Niente più cella al Coroneo di Trieste per Pietro D'Antonio, 60 anni, originario di Cercola (Napoli) ma di casa a Latisana e considerato da pm e gip triestini il boss di un gruppo di ambulanti napoletani che - con metodi mafiosi, secondo l'Antimafia - voleva avere l'esclusiva sui mercati di Bibione, a partire dalla manifestazione I giovedì del Lido del Sole da cui alcuni di loro erano stati esclusi perché non in regola con le quote associative. D'Antonio, difeso dagli avvocati Paolo e Alice Bevilacqua del foro di Gorizia, era considerato «contiguo» al clan camorristico Sarno-Contini-Licciardi e ora dovrà stare ai domiciliari per due episodi che il Riesame classifica come violenza privata, e non estorsione mafiosa: cioè l'aver chiuso l'accesso alla manifestazione I giovedì del Lido del Sole con un camion (il 13 agosto 2020) e l'aver minacciato i vertici dell'associazione Pro Lido del Sole e il Comune di San Michele al Tagliamento tanto da spingere l'amministrazione a ridisegnare i confini della manifestazione per evitare problemi, come scritto nell'ordinanza di custodia cautelare che parlava di «metodi mafiosi» ora «esclusi» dal Riesame.
ACCUSE SPAZZATE VIA
Ma se per Pietro D'Antonio restano in piedi accuse ben minori rispetto a quelle per cui era stato arrestato, per gli altri componenti del gruppo la decisione del Riesame di Trieste di annullare l'intera ordinanza, è una picconata alle tesi della magistratura.
Scarcerati, quindi, i mercanti napoletani Renato e Beniamino D'Antonio (avvocato Giovanni Seno); Gennaro Carrano (avvocato Emanuele Fragasso); Salvatore Carrano (avvocato Pierluigi Tornago); Raffaele e Salvatore Biancolino (avvocato Andrea Grava) e Giuseppe Morsanuto, ex presidente di Confcommercio Bibione finito in cella con l'accusa di aver spalleggiato le azioni di Pietro D'Antonio. «L'impianto è stato demolito - ha commentato l'avvocato Bevilacqua - ora aspettiamo le motivazioni per capire i domiciliari». Mentre i legali di Morsanuto, gli avvocati Sara Frattolin e Angela Grego, hanno spiegato con una nota come «pur in attesa di leggere le motivazioni, si evidenzia l'esclusione, da parte del tribunale, delle ipotesi delittuose così come configurate dal pm». Su tutte l'aggravante del metodo mafioso, che per il Riesame non c'è.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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