Autonomia, Stefani apre alle Camere «Si può emendare»

Giovedì 16 Maggio 2019
LA TRATTATIVA
VENEZIA Erika Stefani arriva a Montecitorio in jeans e dolcevita, una tenuta non propriamente istituzionale anche se in aula l'appuntamento è con il question time, interrogazioni e risposte. Nel giorno in cui il ministro leghista agli Affari regionali ha detto a Repubblica che se non si rispetta il patto di governo è meglio che Lega e M5s si separino, la sua collega pentastellata del Sud Barbara Lezzi se ne è uscita raccontando ai giornalisti che sull'autonomia «non si è raggiunto alcun accordo perché non c'è nessun testo». È così che una palesemente irritata Stefani risponde in aula all'ennesima interrogazione sull'autonomia differenziata dicendo che è pronta a portare una bozza di intesa in Consiglio dei ministri. E scandisce: «Di nuovo». Nel senso di un'altra volta. La novità, semmai, è che l'esponente leghista non dice no alla possibilità che il Parlamento modifichi quel testo: «Sulla richiesta in tema di emendabilità del disegno di legge di approvazione delle Intese, è una decisione che spetta al Parlamento». Può sembrare un passo in avanti, in realtà è sempre stallo. Un dialogo tra sordi, con il Carroccio che insiste e il Movimento 5 Stelle che continua a ripetere di non avere nulla contro il provvedimento, tranne omettere di spiegare perché non lo si approva. E non è nemmeno detto che se ne parli a Palazzo Chigi prima del 26 maggio. «Ragionevolmente si farà un Consiglio dei ministri» prima delle europee - dice il premier Giuseppe Conte - «non abbiamo ancora l'ordine del giorno ma autonomia come altri sono tutti progetti di riforma a cui stiamo lavorando. Se arriveranno o no al Consiglio dei ministri, discuteremo». Della serie: e chi può dirlo?
IN AULA
A Montecitorio, intanto, il ministro agli Affari regionali ricorda che «è stata completata - in realtà da tempo - un'intensa e complessa attività istruttoria e di negoziazione. Per la parte finanziaria abbiamo recepito tutte le indicazioni pervenute dal ministero dell'Economia e delle Finanze al fine di garantire un'invarianza della spesa». Ma la bozza di intesa c'è o non c'è? C'è, dice Stefani: «Mi appresto a portarla, di nuovo, in Consiglio dei ministri affinché la si discuta». Quanto al ruolo del Parlamento, Stefani ricorda che la Commissione bicamerale al termine della passata legislatura, il 6 febbraio 2018, aveva approvato all'unanimità dei presenti - Pd, M5s, Mdp LeU, Lega - un possibile iter che prevedeva che il Governo una volta definito uno schema di accordo e prima di procedere alla firma, sottoponesse gli esiti della trattativa nella forma di un pre-accordo al Parlamento il quale - testuale - potrebbe con un atto di indirizzo esprimere il proprio avviso eventualmente segnalando criticità del testo esaminato di cui le parti potrebbero tener conto in sede di definizione del testo definitivo dell'intesa. Al che Stefani puntualizza: «Io dico che le parti devono, non potrebbero, tenerne conto». Ma il ministro non esclude un ruolo più attivo delle Camere: «Il vero confronto sul regionalismo differenziato si farà dentro queste aule, Camera e Senato saranno madre dell'attuazione di un'importante norma costituzionale, e non fuori dalle stesse, sterilizzate magari in polemiche su media e microfoni che poco o nulla servono».
IN COMMISSIONE
Ma se i testi sono pronti, perché non si va avanti? «Forse non funzionano le Poste», ironizza il vicepremier leghista Salvini. Che al solito ripete: «Ci aspettiamo che su tasse, sicurezza e autonomia tutti mantengano la parola data».
Ma se sull'autonomia non si avanza, sulle nomine dei direttori delle Ulss si retrocede. Già il precedente Governo a guida Pd aveva provato a centralizzare a Roma la nomina dei dirigenti sanitari, trovando l'avversione della Regione del leghista Luca Zaia che aveva ingaggiato, e vinto, una battaglia davanti alla Consulta. Stavolta è stato il governo giallo-verde, pur con l'astensione della Lega, a sfilare alle Regioni la materia: ieri in Commissione Affari sociali è passato l'emendamento al Decreto Calabria presentato dal M5S per togliere la discrezionalità dei governatori sulle nomine dei dirigenti sanitari. «Alla faccia dell'autonomia del Veneto, questa è una sberla - ha commentato il deputato Piergiorgio Cortelazzo (Forza Italia) - addirittura si vuole un controllo dello Stato centrale sulle nomine dei dirigenti sanitari. Però per le 600 nomine che deve fare il governo non serve mica il concorso!».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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