Alzano e le polmoniti anomale «Già a dicembre oltre 100 casi»

Mercoledì 1 Luglio 2020
L'INCHIESTA
MILANO Tra novembre e gennaio, quando il Covid-19 era una minaccia esotica confinata in Hubei, all'ospedale di Alzano Lombardo sono stati ricoverati 110 pazienti colpiti da polmonite con «agente non specificato». Era il primo attacco del virus, non riconosciuto e sottovalutato? Oppure solo polmoniti anomale, come accade ogni anno? Di certo l'impennata di contagi impressiona: nel 2018 i casi sono stati 196 in tutto, l'anno dopo 256, il 30% in più. I dati, forniti dall'Ats Bergamo e dall'Asst Bergamo Est, sono confluiti nel fascicolo della procura bergamasca che indaga per epidemia colposa sulla mancata chiusura dell'ospedale di Alzano Lombardo e la zona rossa mai decretata in bassa Val Seriana.
CODICE 486
A renderli noti è stato il consigliere regionale di Azione Niccolò Carretta, con allegate relazioni firmate dall'assessore regionale Massimo Gallera, dal direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi e dal direttore generale dell'ospedale di Alzano Francesco Locati. Dalle quali non emerge se quei numeri, che avrebbero potuto far scattare l'allarme pandemia, siano stati comunicati alla Regione già a novembre. Il Covid entra ufficialmente nella bergamasca domenica 23 febbraio, certificato dai tamponi positivi dei primi due pazienti, ma nei mesi precedenti si è verificata un'intensificazione dei ricoveri con diagnosi in codice 486: termine medico per descrivere una «polmonite con agente non specificato». La crescita è netta: 18 diagnosi a novembre, 40 a dicembre, altre 52 a gennaio. Centodieci tra novembre e il 23 febbraio, giorno in cui alle cartelle si è aggiunta la voce «polmonite da Sars - coronavirus associato». Nella relazione firmata dal direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi si legge che «dal 1 dicembre al 23 febbraio al Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo risultano 145 dimessi con diagnosi ricomprese tra i diversi codici utilizzati nella classificazione delle malattie di polmonite. La semplice analisi della Scheda di dimissione ospedaliera non consente di poter ascrivere tale diagnosi a casi di infezione misconosciuta da Sars Cov-2». E ora l'Ats precisa che «gli esiti del lavoro sui ricoveri consentono di affermare come non siano riscontrabili evidenze statistiche» che facciano sospettare «una presenza precoce di ricoveri per polmoniti» da Covid in provincia di Bergamo nel «dicembre 2019 e nel bimestre gennaio e febbraio 2020: è un trend coerente con il passato». I magistrati vogliono capire se è davvero così, se quelle infezioni non fossero invece avvisaglie dell'epidemia. Sottovalutate, con la conseguenza che l'ospedale di Alzano è stato chiuso solo per tre ore e la zona rossa non è mai stata creata. Ma i pm fanno anche un passo in più: la diagnosi dei casi di Covid-19 avviene solo tramite tampone e sono due circolari ministeriali a indicare i protocolli da seguire negli ospedali. La prima bozza del 22 gennaio prevedeva controlli in caso di decorso clinico sospetto, dal 27 gennaio questo criterio sparisce e le direttive del Ministero della Sanità impongono il test solo per chi arriva dalla Cina o è stato in contatto con cinesi.
CENTO SEQUENZE
Se su tutti i malati sospetti dal 22 gennaio in poi fosse stato effettuato il tampone e la bergamasca isolata, è l'ipotesi dei pm, forse ora non si piangerebbero 6.000 morti. È questo il momento cruciale della pandemia e secondo il professor Massimo Galli, direttore del reparto di malattie infettive al Sacco di Milano, quell'esplosione di polmoniti all'inizio dell'inverno non ha alcun significato e va presa con le molle. «Il virus cinese arriva in Italia dalla Gemrania attorno al 18-19 gennaio, il focolaio è stato riconosciuto il 22-23 gennaio - spiega - Noi, sulla base di più di 100 sequenze, abbiamo riconfermato che verosimilmente il Covid entra nel nostro Paese attorno al 26 gennaio. Se fosse comparso a novembre, per le caratteristiche violente che ha, avrebbe provocato un disastro già a dicembre».
Claudia Guasco
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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