Addio a Miotto, alpinista e amico di Hemingway

Venerdì 9 Ottobre 2020
LUTTO TRA I MONTI
BELLUNO È morto Franco Miotto, uno dei più grandi alpinisti bellunesi. Aveva 88 anni. Leggendarie le sue imprese, profondo il suo amore per la natura selvaggia.
IL RITRATTO
Scrutava gli abissi con gli occhi dell'aquila, le sue mani erano artigli. Prima cacciando con il fucile, poi scalando montagne. Francesco Massimiliano Miotto, Franco per tutti, ha passato la vita sospeso fra cielo e terra, in una dimensione verticale, sempre nella condizione estrema di salire e scendere senza precipitare. E così è arrivato fino all'età di 88 anni, fino alla scomparsa, mercoledì sera, nella casa di riposo di Limana (Belluno). Aveva radici lontane in pianura (il padre carabiniere era di Montebelluna, fu di stanza a Cortina e infatti Miotto nacque a Malles Venosta), ma il cuore è sempre stato in montagna. Con lui l'avventura si è incarnata negli angoli più remoti dei monti di casa, dove la forza e il coraggio sono stati la conseguenza di un'eterna sfida con se stesso. Fra la gigantesca muraglia del Burèl (dove saranno lasciate le sue ceneri dopo la cremazione) e i Monti del Sole, Franco si è perduto nella bellezza e lungo i viàz sembrava che volasse, erano il suo habitat naturale, la metafora della sua condizione umana. Nei suoi 10 anni di alpinismo estremo, iniziati a 42 anni quando gli altri attaccano gli scarponi al chiodo, è stato profetico. Se Dino Buzzati fosse vissuto ancora qualche anno, lo avrebbe conosciuto e raccontato di sicuro come uno spirito della foresta.
POETA VISIONARIO
Non capiva più di tanto quelli che in Himalaya sfidano gli Ottomila, perché trovava altrettanto selvagge e appaganti le valli quasi inaccessibili del Bellunese dove la wilderness regna ancora sovrana. Non amava le scalate solitarie e per 7 anni ebbe in Riccardo Bee il compagno di una cordata che divenne mitica. Poi venne la stagione con Benito Saviane. Più che salite estreme su Burèl, Palazza, Spiz di Lagunaz, Pizzocco, Col Nudo, da poeta visionario, le sue erano presenze selvagge in una natura incontaminata. Poeta proletario, amava Leopardi e Che Guevara. Nel Canto notturno di un pastore errante nell'Asia ritrovava la sua vera anima, cercava i bivacchi sotto le stelle o al chiaro di luna. Con la sua ansia di giustizia, è stato comunista fino alla fine, per difesa e per speranza. Non abbassò mai la testa. Da giovane conobbe anche qualche attimo di orgogliosa conquista meno alpinistica. Bello e galante come Jean Gabin, una sera, in un albergo di Misurina, rubò un ballo al mito del cinema Jennifer Jones, Oscar 1943 per il film su Bernadette, nel 1957 a Cortina per girare Addio alle armi. «Hallo, baby!»: così Ernest Hemingway si rivolgeva a Franco dall'uscio di Villa Aprile, sempre a Cortina, quando lo vedeva passare diretto al lavoro nella centrale elettrica di Campo.
L'ULTIMO CAMOSCIO
Orgoglioso come certi uomini in via di estinzione, a volte ruvido ma generoso fino a esporsi per gli altri, era sempre se stesso inseguendo un camoscio, arrampicando su una croda, salvando un compagno, lottando nel sindacato, bevendo vino con gli amici. Capace di grandi passioni e di sinceri pentimenti, come quando chiuse con la caccia dalla sera alla mattina - la sua ultima preda fu un camoscio sul Burèl - barattando la sua carabina con una macchina da cucire per la moglie Renata.
Flavio Olivo
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