Il tesoro del mulino pestasassi che "macina" i ciotoli del Brenta

Giovedì 3 Marzo 2022 di Alessandro Marzo Magno
Il tesoro del mulino pestasassi che "macina" i ciotoli del Brenta

 A Nove, in provincia di Vicenza, i fratelli Stringa sono i proprietari dell'unico impianto ad acqua per la lavorazione di ciottoli del Brenta. Con la macinazione delle pietre si confezionavano le polveri che poi servivano per la ceramica. Dopo un restauro parziale e il recupero dell'antico maglio, i titolari lanciano l'appello per un riuso a scopo turistico

L'ultimo mulino pestasassi è a Nove, vicino a Bassano, ed è logico che sia lì, perché serviva a ridurre in polvere i ciottoli del Brenta di carbonato di calcio, mescolarli al caolino in modo da poter ottenere piatti e stoviglie di terraglia, la ceramica bianca, più pregiata della terracotta rossa, ma meno della porcellana che oltre a essere bianca riesce sottile e leggera. Nove è da trecento anni la capitale della ceramica nel Veneto. Il mulino oggi è proprietà dei quattro fratelli Stringa: Nadir, per oltre trent'anni medico internista nell'ospedale di Bassano; Nico, già docente di storia dell'arte contemporanea all'università di Ca' Foscari; Roberto e Renato che gestiscono la fabbrica di ceramiche di famiglia. Loro padre Carlo aveva comprato il mulino nel 1965. Lo hanno restaurato, lo mantengono in funzione, anche se non è più usato per frantumare sassi da quasi sessant'anni.
La prima documentazione di un mulino a Nove risale al XIV secolo, quando è stata scavata una derivazione del Brenta per azionare una sega. Una carta del 1741 mostra quindici siti con una quarantina di ruote che muovevano seghe da legno, magli da ferro, folli da lana, torcitoi da seta, macine da grano, pestelli da sassi, una concentrazione del genere oggi la chiameremmo polo industriale. Tra XIX e XX secolo le ruote sono state sostituite da turbine, ancora oggi ce ne sono cinque che producono energia elettrica.

ORIGINALE
Il mulino degli Stringa è quindi l'ultimo e l'unico originale ancora funzionante, seppur a scopo dimostrativo. Ma il mulino non ci sarebbe senza il maglio per la lavorazione del ferro, documentato dal 1423. Fare il fabbro in quei tempi era un mestiere che rendeva bene (il ferro era un materiale costosissimo) e lo testimonia la casa accanto, sulla quale è stata rinvenuta la data 1550, abbellita da decori e fatto inusuale con due camini, uno al piano terreno e uno al primo piano. Con quello che costava la legna un secondo camino in casa era un lusso che pochi potevano permettersi. Un altro gruppo di case al di là del cortile risale al 1638 ed è addossato a questo nucleo che viene eretto il nuovo edificio destinato a diventare sede del mulino pestasassi. Ai tempi della Serenissima l'uso dell'acqua per muovere ruote da mulino era sottoposto all'approvazione nonché alla tassazione del Magistrato alle acque. Bisognava inoltrare il progetto a Venezia, dove veniva esaminato, dopodiché veniva mandato un ispettore e se tutto era in ordine si versava il denaro e il permesso veniva accordato. Una procedura lunga, come si può intuire.

L'IMPIANTO
In questo caso, però, è stata più semplicemente richiesta una modifica della destinazione d'uso: un terzo dell'acqua per il maglio sarebbe stata utilizzata per il mulino. Tutto molto più facile e veloce infatti ancor oggi si vede che la canaletta è stata suddivisa da un muretto interno, con due terzi dell'acqua verso il maglio e un terzo destinata al mulino. Ad aprire il nuovo impianto, entrato in funzione nel 1791, è stato Giovanni Maria Baccin, già direttore della più grande fabbrica di ceramica novese, quella degli Antonibon. Si mette in proprio e avvia l'attività. Gli Stringa non hanno solo rimesso in sesto il mulino, ma anche ricreato il maglio comprandone l'ultimo da fabbro rimasto in paese, inattivo dal 1971, e trasferendolo nell'officina dove originariamente si trovava il maglio, modificata a partire dal 1899 mettendo al posto della ruota una turbina che produceva energia prima per la Sade e poi per l'Enel. Una volta dismessa dall'Enel, la turbina era stata utilizzata da un falegname per muovere macchinari destinati a produrre trucioli di legno per imballaggi, ma quando Stati Uniti e Australia hanno imposto di sostituire i trucioli di legno col polistirolo, l'attività è cessata e il locale è diventato un magazzino.

SALA ATTREZZI
Durante il lockdown è stato montato il maglio, completo anche di tutti gli attrezzi che venivano utilizzati dal fabbro, cosa, questa, più unica che rara. Il montaggio è finito circa un anno fa, il maglio è stato collegato alla turbina e tutto funziona perfettamente, anche in questo caso a scopo dimostrativo. Il meccanismo del mulino pestasassi consiste in una serie di pestelli che nell'Ottocento sono stati rafforzati da un finale in ferro: cadendo sui ciottoli di fiume li frantumavano fino a polverizzarli. Un po' più in là c'è un altro meccanismo a pestelli, un po' più piccolo che serviva a sminuzzare cristalli di quarzo utilizzati per ottenere la vernice trasparente che serviva a ricoprire le decorazioni dipinte sui pezzi in ceramica; con l'aggiunta di ossido di zinco la vernice diventava smalto bianco che, steso sulla terracotta rossa, faceva da base alle pitture.

LA FRITTA
Il quarzo si univa a ossido di piombo e tartrato di potassio, ottenuto bruciando i depositi lasciati dal vino nel fondo delle botti (quando si dice ecosostenibilità). Questi tre ingredienti mescolati assieme a caldo davano la fritta, una base uguale a quella che si utilizzava anche a Murano per il vetro. La fritta doveva però essere a sua volta frantumata e a farlo ci pensava un altro impianto, sempre mosso dalle ruote del mulino: la giostra per vernici e smalti. Si tratta di una serie di contenitori rotondi di legno rafforzati da pezzi di granito del Brenta sul fondo dove la fritta veniva spezzettata in pezzi grossolani, in seguito ridotti a sabbia finissima. La proprietà del mulino nel 1817 era passata dai discendenti del fondatore Baccin alla famiglia Cecchetto i cui eredi l'hanno venduta a Carlo Stringa, come detto, nel 1965. È stato subito avviato un decennale restauro che ha reso nuovamente funzionante e finalmente visitabile l'impianto.

LA RICONVERSIONE
Facile intuire che una serie di edifici che vanno dal XV al XVIII secolo abbiano bisogno di continua manutenzione: sono stati rifatti quasi tutti i tetti, per esempio, e dove ancora non si è provveduto piove dentro e c'è bisogno di farlo. Solo che per i lavori veniva utilizzata una parte dei profitti della fabbrica di ceramica, ma ora che il settore è entrato in una crisi profonda (per certi versi simili a quella del vetro di Murano) è tutto molto più difficile. Il complesso ha un enorme valore in termini di archeologia artigianale e industriale, è un punto di riferimento della storia della ceramica veneta, dal 1991 è sottoposto a tutela monumentale, è stato dichiarato sito di particolare interesse: sono state elargite tante medaglie, ma niente quattrini. A tutto hanno pensato gli Stringa e ora il loro auspicio e che il mulino possa entrare a far parte dell'itinerario di visita del non lontano Museo civico della ceramica di Nove.
Alessandro Marzo Magno

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