VICENZA - Raccontava l'imprenditore-pilota Giannino Marzotto a Stefano Lorenzetto sul Giornale: «Spiegai a mio padre che dovevamo fare ricerca, ma non attraverso i capireparto, obbligati a pensare solo al lavoro del giorno seguente. Serviva un'azienda autonoma. Mi obiettò: "Ma Nineto, xe un rischio". Lo so, gli risposi. "E alora rischia!", concluse. Fondai la Rimar, acronimo di Ricerca Marzotto. Inventammo il primo tessuto antimacchia, abolimmo l'acqua nei processi produttivi». Ora c'è anche quell'intervista del 2011 agli atti del contenzioso che divide due rami della blasonata famiglia. Ritenendo che per le sperimentazioni industriali di sessant'anni fa siano stati usati i famigerati Pfas, e che le sostanze perfluoroalchiliche abbiano contaminato l'area delle scuderie attigue alla villa familiare di Trissino, la Provincia di Vicenza ha ordinato una bonifica di cui al momento si stanno facendo carico le tre figlie del "conte volante", mentre la capogruppo che porta avanti il marchio tessile ha impugnato la diffida ad agire davanti al Tar del Veneto. La sentenza è stata depositata ieri: il ricorso è stato respinto in base al principio che «chi inquina, paga», anche se le società sono diverse.
LA CAUSA
LA GESTIONE
Ecco il punto: la Manifattura sostiene che la Rimar «sia stata frutto dell'iniziativa personale del conte Giannino Marzotto e che l'attività della società fosse riconducibile alla gestione personalistica dello stesso». Invece per il Tar «deve ritenersi legittima la valutazione operata dalla Provincia nell'aver ravvisato in capo alla società "madre" una corresponsabilità nell'attività economica posta all'origine dell'inquinamento, avendone partecipato attivamente all'avvio per ragioni di strategia aziendale ed avendone sostenuto l'attività», tanto da averne tratto vantaggio «mediante la partecipazione agli utili e l'utilizzo nell'attività del gruppo dei risultati dell'attività di ricerca e sviluppo». Per i giudici amministrativi, la coincidenza di sostanze fra le materie prime utilizzate e i contaminanti chimici rilevati «costituisce chiaro indizio sulla riconducibilità causale dell'inquinamento all'attività produttiva svolta da Rimar». Anche se a quel tempo «non erano previsti limiti di emissione», il Tar precisa che «viene sanzionato non il comportamento inquinante precedentemente prodotto, ma la mancata rimozione dei suoi effetti». Di questa deve occuparsi la Manifattura, a prescindere dall'eventuale «corresponsabilità di altri soggetti nella contaminazione del sito», il cui accertamento resta possibile anche «attraverso un'ulteriore attività amministrativa, eventualmente stimolata dalla stessa ricorrente».
L'APPELLO
Ma la capogruppo della compagine Marzotto si prepara a presentare appello al Consiglio di Stato, considerate fra l'altro «la novità e complessità delle questioni controverse», come sottolinea lo stesso Tribunale. Spiega infatti l'avvocato Vincenzo Pellegrini: «Contestiamo la prospettazione dell'unitarietà economica e comunque qualsiasi ingerenza della Manifattura nella Rimar. Quindi se anche l'inquinamento fosse riconducibile alla Rimar, non si potrebbe imputare una responsabilità alla società Manifattura che aveva solo una partecipazione finanziaria, dal momento che la gestione diretta era del conte Giannino».
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