Paolo Rossi 1956-2020, addio al campione nello stadio dei ricordi. Questa mattina il funerale in Duomo

Sabato 12 Dicembre 2020 di Antonio Di Lorenzo
Paolo Rossi 1956-2020, addio al campione nello stadio dei ricordi. Questa mattina il funerale al Menti

VICENZA - Non è Vicenza che sfila sul verde dello stadio, è l'Italia. Davanti al feretro di Paolo Rossi allestito nel suo Menti, si commuove e piange quella stessa Italia che alzava come lui le braccia al cielo quando il numero venti in maglia azzurra faceva piangere il Brasile. Era il luglio 1982. Raccontando quella partita, Giorgio Lago su questo giornale fulminò l'emozione di tutti con un incipit indimenticabile: Bisognerebbe scrivere le parole dell'inno di Mameli e metterci la firma sotto.


La camera ardente a cielo aperto accoglie in cinque ore la testimonianza di almeno cinquemila persone.

Chissenefrega del freddo, Paolo scalda l'anima. Sugli spalti, il tabellone luminoso rilancia la sua immagine in azione con un commento: Per sempre biancorosso. In basso, la scritta Ciao Paolo lungo i parterre dello stadio incornicia la commozione. Forse non ce ne sarebbe neanche bisogno, perché il mito come insegnava Cesare Pavese non ha bisogno neanche del nome. Il mito è. Punto. 


STILE

E infatti lui non aveva messo neanche il suo nome sul vino che produce a Siena. Ma era una questione di stile, non di presunzione. Lui era tutt'altro che snob, bensì amabile e alla mano. Provate a parlare con chiunque con chi sfila a Vicenza rappresentando l'Italia e avrete la stessa risposta: «È uno di noi». E il suo ricordo, in tutti, è un sorriso dolce. Perché era una persona gentile. Mi raccontò anni fa: «Il calcio oggi è una cosa diversa. Facce troppo tirate, nessuno sorride». E infatti vicino alla bara, un tifoso ha deposto la sua foto e un messaggio: Pablito, il tuo sorriso ci ha anticipato anche questa volta. Ma dài....


A rendere omaggio alla sua umanità, non solo ai gol che realizzava spesso rapinando palloni volanti, tra i primi sono stati il sindaco e i vecchi compagni del Real Vicenza, quello che arrivò secondo in serie A nel 1978 dietro la Juventus. E poi Cesare Prandelli, che giocava con lui nella Juventus e Marco Tardelli, l'amico di sempre, che è rimasto vicino alla moglie Federica in mezzo al campo.

 


Scorrono i ricordi di chi passa davanti alla bara, lascia un fiore, si fa il segno della croce. Molti si asciugano una lacrima. C'è chi zoppica vistosamente, ma non è voluto mancare. Un anziano, sciarpa biancorossa al collo, s'è fatto accompagnare in carrozzina. Sfila la signora elegante, in cappello e stivale. Passa un tifoso che ha la maglia biancorossa numero nove sulle spalle: «È proprio la sua del 1978, guarda la firma e la dedica. L'ha regalata a mio suocero poliziotto in servizio d'ordine la domenica». 


L'IDENTIFICAZIONE

Paolo Rossi è un pezzo della nostra vita, per chi l'ha conosciuto e per chi vive l'emozione che gli trasmettono i racconti di papà, mamme e nonni. L'identificazione supera le barriere del tempo: è comunque profonda. E ognuno ha un aneddoto o un ricordo. In questi giorni sono rimbalzati a Vicenza da tutta Italia. Un'insegnante che adesso vive a Taranto, ricorda i caffè mattutini nella pasticceria vicino al fiume. Per Francesca Traverso, padovana con libreria a Vicenza, era un frequentatore assiduo del negozio. Il che non era proprio abituale tra i calciatori di quaranta e passa anni fa. Cristiano Seganfreddo, oggi docente di estetica all'università, mostra la foto di lui bambino e di quei calciatori ventenni che, assieme a Marino Basso, si trovavano spesso a cena in taverna con i genitori. Sfila davanti al feretro la professoressa che faceva fisioterapia assieme a lui, che cercava di mettere insieme i cocci dei menischi. Ore di dialogo che tornano alla mente. C'è chi tira fuori il titolo del giornale della prima partita di Rossi con il Vicenza a Genova: vittoria in trasferta sotto una pioggia che neanche Noè avrebbe sopportato.


Per lui è già pronto anche il film: si intitola Mancino naturale, con Claudia Gerini protagonista. Racconta del bambino Paolo che vuol diventare un nuovo Rossi, come sognava per lui il papà che non c'è più. L'hanno già finito di girare. Paolo aveva detto che sperava di riuscire in primavera a fare qualche ripresa. Ci credeva davvero. Perché nell'ultima intervista che gli ho fatto mi ribadì il suo motto: «Bisogna credere in se stessi e non mollare mai».

Ultimo aggiornamento: 09:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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