Mauro "Robocop" Zironelli: «Ridateci l'oratorio o il calcio muore»

Lunedì 28 Novembre 2022 di Edoardo Pittalis
Mauro "Robocop" Zironelli: «Ridateci l'oratorio o il calcio muore»

VICENZA - Ridate ai ragazzi l'oratorio o in Italia il calcio muore. Riempiamo le squadre Primavera solo di stranieri, forse i giovani italiani stanno bene, hanno altro da fare che sacrificarsi per il pallone. Fuori l'hanno capito, hanno impianti sportivi e funzionano. Lo si vede ai mondiali: Giappone e Arabia Saudita non sono sorprese, sono squadre. Dal nostro calcio è sparita la fantasia e c'è anche il rischio che il calcio muoia drogato dai social: i giocatori negli spogliatoi, anche pronti a entrare in campo, sono tutti col telefonino in mano». Mauro Zironelli ha fatto il calciatore anche contro le avversità. Dopo gli infortuni, avevano rimesso assieme tanti pezzi che sui giornali cominciarono a chiamarlo RoboCop, come il protagonista di un famoso film di fantascienza al quale avevano sostituito le parti mancanti con protesi rivestite da una corazza di titanio. Per anni Zironelli fu il RoboCop del calcio italiano. «Allora con tre crociati non giocavi più, io ero l'eccezione che correva». Gli infortuni gli hanno negato la grande squadra e anche la Nazionale, era nel giro azzurro, aveva esordito nell'Under 21 di Cesare Maldini battendo l'Olanda e segnando il gol vittoria a Van Der Sar. «Ma nella sfortuna sono stato fortunato, ho sempre recuperato, non mi sono mai pianto addosso».
Vicentino di Piovene Rocchette, 52 anni, una lunga carriera da calciatore e ora da allenatore.

C'era nel Venezia di Zamparini in A; c'era sulla panchina del Mestre che ha sfiorato la B. Oggi guida la padovana Luparense, in serie D, parte alta della classifica. La squadra più titolata d'Italia del calcio a 5 è ritornata al campo grande.


Ma il bambino Zironelli giocava nell'oratorio?
«Ho imparato tutto nel campo della chiesa di Piovene, quello era il nostro regno, fino a quando mamma Antonietta non veniva a portarmi via. Papà Giampietro era muratore, mamma faceva la parrucchiera, mio fratello Mirko ha sempre giocato al calcio nei dilettanti. A 15 anni mi ha chiamato per la squadra Allievi il Lanerossi Vicenza e come allenatore avevo Nevio Scala. Ma appena arrivato mi sono subito rotto il crociato e ci sono voluti due anni per riprendermi e per esordire in prima squadra in serie C: da mediano e ho fatto subito due gol. Si è fatta avanti la Fiorentina, ma prima della fine della stagione mi rompo un altro ginocchio. Così c'è voluto un altro anno per recuperare».


Quando è arrivato in maglia viola?
«In viola comunque ci sono arrivato nel campionato 1989-90, era l'ultima stagione di Roberto Baggio a Firenze. Sono rientrato per il ritorno della finale di Coppa Uefa contro la Juventus: un bel traguardo per un giovane di 19 anni. Baggio è in assoluto il giocatore più forte col quale ho giocato, poi Batistuta come attaccante e Dunga come centrocampista: erano fuori categoria. L'anno dopo sono andato in prestito in B al Pescara di Galeone, avevo come compagno di centrocampo Allegri. Siamo subito tornati in A, giocavo con continuità e mi voleva Nevio Scala al Parma che era in grande rilancio. La solita sfortuna: mi sono rotto il terzo crociato. Ho recuperato in tempo per tornare a Firenze dove la squadra era retrocessa. Claudio Ranieri ci ha riportato in A, credeva in me: 24 partite di fila, accanto a Batistuta e Pioli. Un altro compagno di squadra futuro allenatore da scudetto».


Il ritorno in Veneto, questa volta fortunato...
«Un bel periodo nel Chievo di Malesani, poi tre anni a Venezia dove abbiamo guadagnato la promozione in A con Novellino in panchina e avevo accanto Pippo Maniero, Recoba, Luppi, Pavan. Siamo tutti rimasti amici. Un grande Venezia quello di Zamparini, un anno fantastico. Recoba ha cambiato la squadra e Pippo si è trasformato perché ha incominciato ad avere molte più occasioni a partita. Vedere Recoba calciare in porta era impressionante. La prima sera in allenamento fa piazzare dieci palloni a terra, davanti fa schierare la barriera e in porta Taibi che era bravo: ha fatto 9 gol su dieci tiri! Ci siamo guardati con Pippo: Siamo salvi. Ero diventato una specie di portafortuna, tanto che sono tornato al Chievo allenato da Del Neri per la nuova promozione. Poi col Modena di De Biasi in tre anni dalla C alla A. Negli ultimi tempi ho vinto 5 campionati che sono tanti per un giocatore».


Che tipo di giocatore era Zironelli?
«Ero un mediano che si inseriva: portavo l'acqua ma quando c'era l'occasione di chiudere l'azione c'ero. Ho segnato 25 reti, il più importante resta quello fatto a Van De Saar con la Under 21 a Reggio Calabria, su assist di Maniero».


Gli allenatori che hanno lasciato una traccia?
«Sono stato fortunato, ho avuto grandi allenatori: Scala, Ranieri, Malesani, Galeone, Novellino, Del Neri, De Biasi Hanno tutti lasciato un segno. Come gestione Claudio Ranieri, come gioco e tattica Malesani e De Biasi. Scala l'ho avuto solo a livello giovanile ed era tanta roba. A livello di insegnamento tattico il più bravo era Malesani: pignolo nella preparazione, recupero della palla veloce, pressing aggressivo. A 35 anni ho smesso di giocare per fare l'allenatore, mi ha chiamato il Vicenza, tre anni alle giovanili. Poi nel 2009 ho girato il mondo per studiare le varie scuole di calcio in Australia, in America, in Indonesia: si vedeva già che gli altri erano più attrezzati di noi, soprattutto nel settore giovanile. Tre anni tra i ragazzi del Bassano, un anno in Eccellenza ad Abano, sono subentrato e ci siamo salvati. E tanta serie D: due terzi posti a Sacile, un secondo posto con l'Alto Vicentino, dietro il Parma».


L'avventura mestrina?
«A Mestre abbiamo vinto la D e siamo saliti in C arrivando ai play-off per la B e ci ha battuto il Monza che costruiva la squadra per andare in A. Ma noi a Monza abbiamo sbagliato due rigori! Sono stati gli anni più belli della mia carriera di allenatore. Mi ha ingaggiato il Bari che era in B, dopo una settimana in ritiro la squadra inaspettatamente non è stata iscritta al campionato per fallimento. Mi chiama Paratici, c'è la possibilità che la Juve presenti la seconda squadra per la C. Mi ci sono buttato, anche se è stata un'avventura difficilissima, ti radunavi sempre a fine settimana e i migliori venivano fatti allenare con la prima squadra e chiamati nelle nazionali di categoria. Ho fatto esordire Fagioli che aveva 16 anni e si vedeva già che aveva qualità; anche Pablo Moreno che arrivava dal Barcellona e ora al Manchester City, un talento incredibile. Oggi sono alla Luparense di Stefano Zaratini in D, una scelta precisa, mi è piaciuto il progetto».


Cosa pensa del campionato che si è fermato e di questi Mondiali?
«È stato abbastanza strano, il mondiale ha condizionato tanti campioni che si sono risparmiati. C'è solo l'ammazzacampionato del Napoli, dopo i mondiali inizierà un altro campionato, quello vero. Ci sono la Juve cresciuta, Milan e Inter, ma il Napoli fa fatica a perdere. Quanto ai Mondiali, i favoriti sono i soliti: Brasile e Argentina, nonostante la figuraccia che però dimostra che molti paesi sono calcisticamente cresciuti. E, immancabile, la Francia. Nel Qatar il tempo è ottimo, la temperatura ideale, molto meglio che con i 35° di Messico o Brasile. Certo manca l'Italia per la seconda volta consecutiva. Anche se Mancini ha fatto esordire molti giovani, resta il problema del calcio giovanile. Non puoi fare un settore giovanile dove si allenano due volte la settimana, non impari i fondamentali, non impari a giocare. Mancano le infrastrutture, si interrompono gli allenamenti perché le bollette sono cresciute e non si fa la doccia. Io volevo fare un centro sportivo al mio paese, ho presentato il progetto per investire nello sport. Non me l'hanno concesso, sono dovuto andare in un altro paese e affittare un capannone: ci posso fare solo il padel».
 

Ultimo aggiornamento: 17:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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