VICENZA - Gli insulti e le minacce non sono più lievi se vengono rivolti sulla piazza virtuale anziché su quella fisica. Al contrario, gli interventi ingiuriosi e minatori su Facebook costituiscono «una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di soggetti ampliando e aggravando l'offesa», al punto da meritare un risarcimento che «non potrà essere meramente simbolico». L'ha deciso il Tribunale di Vicenza, stangando con 15.000 euro l'autore di un pesante post contro due agenti della polizia locale, che avevano multato la sua compagna: una sentenza che promette di fare severa giurisprudenza, dopo verdetti assai più bonari nei confronti degli odiatori che infestano la Rete.
LA VICENDA Tutto era cominciato il 22 giugno 2015, con la contravvenzione elevata da un vigile urbano del Consorzio Nordest Vicentino e da un suo collega nei confronti di un'automobilista, sorpresa a utilizzare il telefonino alla guida.
LE MOTIVAZIONI Il magistrato premette che «anche per i non pratici di social network è oramai palese che l'utilizzo della rete internet sia veicolo di opinioni molto veloce, capillare e generalizzato». Dunque la scelta dell'utilizzo di Facebook «è stata proprio voluta per avere la massima diffusione del messaggio che voleva far conoscere a una schiera indeterminata di soggetti», con l'intento «di colpire l'attore nel modo più vasto possibile». Le motivazioni sono impietose verso le giustificazioni di chi magari accampa il raptus digitale della frenesia social: «La predisposizione del post non è stata attività occasionale o accidentale, bensì è stata volontaria e consapevole quindi il commento infamante è stato espresso con un post pubblico accessibile a chiunque possa arrivare alla piattaforma Facebook (non solo a gruppo ristretto di contatti) e di conseguenza la volontarietà dell'utilizzo di questo mezzo pubblico ha avuto il fine ultimo di raggiungere quante più persone possibile». Oltretutto è emerso che, «nonostante l'attività giudiziale in corso, il post non sia stato rimosso», perpetuando così l'illecito: «Il testo e le espressioni usate hanno contenuto inequivocabile. La minaccia e l'accusa di abuso di sostanze sono palesi». Il leone da tastiera non si è manco costituito in giudizio, ma ora dovrà rifondere all'agente anche 3.235 euro di spese legali. .