«Zanzotto è il nostro Virgilio»
Anagoor al debutto a Bassano

Mercoledì 3 Agosto 2022 di Chiara Pavan
La compagnia castellana Anagoor attesa a Operaestate (foto Favotto)

Zanzotto è il nostro Virgilio. Raccoglie i segnali di luce che arrivano dai poeti del passato e, scorgendo segni indecifrabili della luce futura, «illumina l’inferno dentro cui siamo calati, diventando Virgilio per tutti noi. E come faceva Virgilio con Dante, ci traghetta nella notte del presente reggendo ostinatamente una speranza bambina». Simone Derai, regista e anima con Marco Menegoni della compagnia Anagoor di Castelfranco Veneto, regala “un omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea Zanzotto” con la nuova pièce “Ecloga XI”, in prima regionale al festival Operaestate il 5 agosto al castello Tito Gobbi di Bassano (ore 21).

L’IDEA

Un sottotitolo, questo, che allude alla raccolta di versi “IX Ecloghe” che Zanzotto pubblicò nel 1962 scegliendo di stare “un passo indietro” rispetto alle dieci ecloghe delle Bucoliche di Virgilio, e che ora Anagoor, uno dei nomi più luminosi della nuova scena di ricerca, celebra facendo un passo ulteriore: «Noi andiamo a undici ecloghe - spiega Derai - perché l’intera opera di Zanzotto è una nuova ecloga oltre le dieci di Virgilio. Modernissimo e antichissimo a un tempo, Zanzotto è un poeta anticipatore, un precursore, e direi anche “poeta civile” dalla parola profetica. D’altra parte, pur non citandolo mai, noi abbiamo da tempo fatto nostra la sua lezione: la scelta radicale di osservare la storia dalla periferia senza che questa posizione implichi chiusura, la relazione complessa con la tradizione, la sofferenza per la devastazione, la tenacia nel rinnovare la fiamma di arti solo apparentemente inascoltate». Il sipario si apre così su un mondo buio e cupo, universo di macerie che racchiude una gigantesca riproduzione della “Tempesta” di Giorgione, cui Anagoor ha dedicato in passato altri lavori.

Ma il paesaggio giorgionesco è vuoto. Niente figure umane, solo l’orizzonte della città deserta immersa nella natura.

I PERSONAGGI

Sul palco si affacciano due figure, un uomo (Marco Menegoni) e una donna (Leda Kreider) che parlano, e mano a mano, nel flusso di parole zanzottiane, si spogliano. E mentre loro perdono gli abiti, il dipinto si ricopre progressivamente di nero. «Ci siamo ispirati al saggio “Zanzotto. Il canto nella terra” di Andrea Cortellessa, in cui si immagina Zanzotto come una sorta di monolite di Kubrick incastrato nella terra. Una pietra dura e aliena che emerge dalla montagna. Un’immagine potente e futuribile che racchiude gli inferni violenti della storia, la devastazione dei capannoni, delle arterie d’asfalto, delle escavazioni». Un mondo “in nero” che solo i poeti possono illuminare con la loro parola. «Zanzotto insegna che bisogna perserverare, ostinatamente» chiude Derai. E dalle macerie attorno alla Tempesta nera risorge un eden post apocalittico, una foresta vegetale fluoruescente e radioattiva che corona la profezia di un orizzonte futuro. «In scena viene portato un bimbo, simbolo della speranza. Perché qui sta la grande lezione di Zanzotto: dobbiamo denunciare la devastazione, ma il poeta ha anche l’obbligo di provare a immaginare, ostinatamente, un mondo nuovo». 

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