Verona, sangue e Arena per il deficit
della lirica: tagli a spese e personale

Lunedì 18 Gennaio 2016 di Sergio Frigo
Verona, sangue e Arena per il deficit della lirica: tagli a spese e personale
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Gli spettatori si azzuffarono per entrare in Arena, il 10 agosto del 1913, giorno del debutto del Festival Lirico veronese, con una recita dell’Aida a cui erano presenti tra gli altri Giacomo Puccini, Arrigo Boito, Pietro Mascagni e Franz Kafka. Adesso, dopo un secolo all’insegna di un successo crescente, le cose in riva all’Adige si sono così complicate da far dubitare che la stagione lirica possa continuare a lungo così come l’abbiamo conosciuta. Già nella relazione al bilancio consuntivo del 2014, approvato lo scorso luglio con 6.2 milioni di perdite, sì annunciava per il 2016 un deciso taglio nel numero di rappresentazioni, visto che «la riduzione dei costi che consegue al minor numero di recite è superiore alla riduzione dei ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti».

Dall’estate scorsa, poi, la situazione non è che sia molto migliorata, anche se gli enti pubblici veronesi sono stati chiamati dal sindaco Flavio Tosi a dare il loro contributo alla salvezza di un "giocattolo" che costa quasi 50 milioni di euro l’anno, ma che secondo uno studio dell’Ateneo produce un indotto dieci volte superiore sull’economia cittadina. Il fatto è che quei 6,2 milioni di deficit a bilancio sono andati ad aggiungersi ad altri 17 milioni di debiti degli anni precedenti, che sommati agli interessi portano il debito complessivo della Fondazione Arena a oltre 24 milioni di euro; che supererebbero addirittura i 31 milioni senza gli stanziamenti pubblici citati (la municipalizzata Agsm, che ha stanziato 6.5 milioni in tre anni, la Camera di commercio, la Fondazione Cariverona ecc).
Di fronte a queste cifre il sovrintendente Francesco Girondini, sostenuto dal sindaco che della Fondazione è presidente, ha presentato un piano di riduzione del costo del lavoro (con l’eliminazione del corpo di ballo, tra l’altro) che ha provocato un duro braccio di ferro coi rappresentanti dei lavoratori, culminato nell’occupazione simbolica dei locali della Fondazione da parte delle maestranze e nella cancellazione, durante le Feste, di alcuni spettacoli (il che, viste le premesse, non ha... danneggiato molto la controparte).

A quel punto, con le trattative interrotte, l’Arena ha deciso di ricorrere alla Legge Bray, istituita per salvare le fondazioni liriche e rifinanziata con 10 milioni di euro proprio per includere Verona. La legge però impone condizioni drastiche a chi vi ricorre: tagli alle spese di gestione, azzeramento dei contratti integrativi, riduzione fino al 50% del personale amministrativo e riorganizzazione di quello artistico (anche se è prevista la ricollocazione in altri enti pubblici).

Con tutto questo non c’è ancora, a tutt’oggi, il programma della prossima stagione, e si parla di importanti defezioni fra artisti e musicisti.

Questa, dunque, la situazione al momento. Ma come ci si è arrivati, e quali saranno le prospettive future?
Qui, ovviamente, i pareri divergono. Sindacati e opposizioni chiamano in causa il sovrintendente, fedelissimo di Tosi (anche se al momento del rinnovo, lo scorso anno, il Pd non si è opposto). Sua sarebbe la responsabilità di aver mancato il risanamento dei conti della Fondazione, anzi di aver aggravato la situazione con operazioni molto discusse, come l’apertura a Palazzo Forti dell’Amo, il museo della lirica, e il varo della società Arena Extra, controllata della Fondazione e destinata a gestire gli spettacoli non lirici, ma che non ha portato gli introiti sperati.
La replica? Non c’è stata cattiva gestione, ma solo il taglio dei finanziamenti pubblici intervenuto dall’arrivo di Girondini, nel 2008: «Quell’anno avevamo ricevuto dal pubblico 21,1 milioni di euro, lo scorso anno solo 14,8. Si sono ridotti il Fus (i fondi statali per lo spettacolo) e gli stanziamenti regionali, e sono spariti quelli provinciali, con l’abolizione dell’ente. Solo per questo motivo il debito dell’Arena è aumentato dai 17-18 milioni di allora ai 26 di oggi. Un male comune a tutta la lirica, che vede in Italia un deficit complessivo di 400 milioni di euro, cioè 30 milioni in media per ogni fondazione, e ben 8 di esse su 13 costrette a ricorrere alla Legge Bray». 
Non dev’essere estraneo a tutto questo però anche l’indebolimento politico del sindaco Tosi, che quando era un autorevole esponente della Lega era riuscito talvolta ad ottenere dal governo Berlusconi contributi maggiori degli altri enti.

Quanto alle spese, la Fondazione veronese punta l’indice soprattutto sul costo del lavoro, sostenendo che solo gli integrativi incidono su di esso per quasi un terzo. «Sono contratti insostenibili a fronte della riduzione dei contributi pubblici», dicono all’Arena, osservando che i musicisti, ad esempio, hanno un’indennità persino per suonare all’aperto o eseguire musica sinfonica: «I sindacati devono capire che non siamo noi la loro controparte, ma i cittadini contribuenti che pagano i loro stipendi». Girondini sostiene però di aver fatto anche altre economie (ad esempio nella gestione degli allestimenti, ora posizionati nei pressi dell’Arena tra una recita e l’altra, piuttosto che riportati ogni volta nei magazzini periferici), ma di non aver potuto esternalizzare alcuni rami d’azienda come hanno fatto altre fondazioni per risparmiare.

Ora tutto è demandato all’accesso alla Legge Bray, la cui applicazione sarà affidata al commissario governativo Pier Francesco Pinelli e, in città, alla nuova responsabile delle risorse umane, la temutissima (dai sindacati) Francesca Tartarotti, recude da un’operazione analoga all’Opera di Firenze.
Quanto al cartellone della stagione, Girondini assicura che sarà presentato non appena si approverà il bilancio, e che ci sarà una riduzione delle recite, ma «nessun grande musicista rinuncerà all’Arena, a partire dal direttore Daniel Oren».

(Ha collaborato Massimo Rossignati)
Ultimo aggiornamento: 19 Gennaio, 08:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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