VERONA - Aveva base a Verona, in un negozio etnico di via XX Settembre, l’organizzazione criminale nigeriana, guidata da una donna, dedita al traffico di sostanze stupefacenti che riforniva di eroina e cocaina Trento. A sgominare la banda la Squadra mobile della Questura di Trento, coordinata dalla locale Procura, che da questa mattina ha eseguito 16 arresti e 20 perquisizioni tra Trentino, Veneto e Lombardia.
L'operazione chiamata “Underground”, che ha portato anche al sequestro di mezzo chilo di stupefacente tra cocaina ed eroina, ha evidenziato come al vertice dell’organizzazione vi fosse una donna nigeriana, Agho Isoken Tina, detta Mamma T, che insieme al figlio e alla cognata, suoi sodali, secondo gli inquirenti gestiva il traffico. «Abbiamo sempre avuto a che fare con persone poco collaborative, che non hanno mai voluto rivelare nulla. Prevalentemente richiedenti asilo, in condizioni di estrema debolezza, che piuttosto che essere scoperti o dover rendere conto ai capi, arrivavano ad ingerire le dosi, rischiando la propria vita», ha spiegato il capo della Squadra mobile di Trento, Tommaso Niglio. Un’organizzazione, secondo gli inquirenti, di tipo piramidale: a Verona è stata individuata la base, in un negozio di prodotti etnici nigeriani in via XX settembre, e lì si prendevano le decisioni e si assegnavano di pusher le diverse zone di Trento.
A Vicenza, invece, avveniva lo stoccaggio dello stupefacente. Secondo quanto emerso dalle indagini, la banda reinvestiva nel traffico di droga i proventi derivanti dallo sfruttamento della prostituzione alla quale erano dedite giovani nigeriane. Il procuratore capo di Trento, Sandro Raimondi, nel descrivere i dettagli dell’operazione, ha spiegato: «Piazza Dante è uno dei gangli per traffici che partono dal Veneto e dalla Lombardia. Abbiamo rilevato un’arroganza di fondo e un atteggiamento di sfida nei confronti delle forze dell’ordine. Gli episodi di autolesionismo, come l’ingestione di stupefacenti o, come in un caso, il tentativo di gettarsi dalla finestra dell’ospedale durante i controlli sanitari, è un segnale allarmane della pericolosità sociale di queste persone che denotano l’inserimento nell’associazione a delinquere e la pressione delle forti minacce subite dai pusher».