Bancaria a processo per aver dato dell'opportunista a un collega

Martedì 5 Marzo 2019
Bancaria a processo per aver dato dell'opportunista a un collega
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VENEZIA - Dire a un collega che è «opportunista» può costare un processo. O magari anche due, a giudicare dall'ordinanza della Cassazione pubblicata nei giorni scorsi, in merito a una vicenda che da ormai cinque anni vede fronteggiarsi due bancari veronesi. La capa aveva espresso quell'opinione nei confronti del sottoposto ed era stata assolta in primo grado, ma ora la Suprema Corte ha disposto un giudizio di appello. Secondo quanto riassumono gli stessi ermellini, tutto inizia l'8 aprile 2014, quando viene commesso il presunto reato di diffamazione. In sostanza Graziella Chiavegato viene accusata di aver leso la reputazione del Marco Tartarotti in un giudizio di sintesi, redatto quale suo superiore gerarchico nell'agenzia di Villafranca di Unicredit, «definendolo contrariamente al vero si legge negli atti come opportunista nell'assicurare pieno impegno al solo fine di ottenere la destinazione  alla filiale di cui sopra ed il grado di quadro direttivo, successivamente ritrattandolo, e nell'imporre ai colleghi la copertura dei suoi turni di assenza per conseguire il pieno godimento delle proprie ferie».
IN TRIBUNALESulla base della denuncia scatta il processo in Tribunale a Verona. Il 7 dicembre 2017, il giudice di pace assolve la donna, ritenendo che il fatto non costituisca reato. In particolare il magistrato reputa che la dipendente, nel suo ruolo di superiorità rispetto al collega, abbia esercitato il diritto di critica. Ma la parte civile non viene condannata alla rifusione delle spese in favore dell'imputata, malgrado quest'ultima non risulti colpevole secondo la sentenza, che a quel punto viene impugnata da entrambi i contendenti, ancorché per motivi diversi.
IL RICORSOTartarotti presenta ricorso in Cassazione, sostenendo che non possa essere riconosciuto alle 57enne il diritto di critica e che sia sbagliata la ricostruzione secondo cui l'appellativo «opportunista» sarebbe stato riferito al comportamento e non alla persona. Il 54enne fa presente che nel documento di valutazione sarebbero stati riconosciuti i suoi risultati «nel conseguimento degli obiettivi di prestazione» e che quell'epiteto sarebbe stato usato «facendo riferimento ad un avanzamento di carriera risalente al diverso anno 2010 e a ferie del 2013 che risultavano concordate con i colleghi». A queste argomentazioni Chiavegato risponde ribadendo che «le espressioni contestate non offendevano l'onore o la reputazione del Tartarotti ma si limitavano a censurarne l'attività lavorativa svolta». Si arriva così alla decisione della Suprema Corte: visto il tenore tecnico delle doglianze formulate dalla parte civile, il ricorso deve essere convertito in appello. Di qui la trasmissione degli atti al Tribunale scaligero, dove dovrà essere celebrato il giudizio di secondo grado.
A.Pe.
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