Morì pestato dal branco: «Colpevole di omicidio anche chi non lo picchiò»

Giovedì 6 Febbraio 2020 di Angela Pederiva
Pestaggio dei bulli (foto d'archivio)
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VENEZIA - Dodici anni fa l'assassinio di Nicola Tommasoli aveva scosso le coscienze ben oltre i confini di Verona: un ragazzo pestato in pieno centro, e morto dopo cinque giorni di coma, per una sigaretta negata. La violenza gratuita del branco, legato all'estrema destra, aveva indignato l'Italia. Ora che è stata depositata l'ultima sentenza della lunga e tortuosa vicenda giudiziaria, per cui sono stati condannati in via definitiva tutti e cinque i responsabili del delitto, da questa tragica storia emerge però anche un principio di diritto che farà giurisprudenza: del reato di concorso in omicidio preterintenzionale risponde anche chi non ha personalmente picchiato la vittima poi deceduta.
I PROCESSI
Lo afferma la Cassazione, nelle motivazioni del verdetto con cui viene respinta l'impugnazione, proposta da Guglielmo Corsi e Andrea Vesentini, della condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione che era stata pronunciata nel 2017 dalla Corte d'Appello di Venezia. Ai complici Federico Perini e Nicolò Veneri erano stati invece comminati 11 anni e 1 mese, mentre all'altro correo Raffaele Dalle Donne erano stati inflitti 7 anni e 5 mesi. Secondo quanto accertato dai vari processi, la notte del 1° maggio 2008 i cinque ventenni erano «intenzionati a recarsi in discoteca, ma privi di denaro», quando incrociarono per strada Andrea Csontala. Corsi gli chiese una sigaretta e, al suo rifiuto, lo colpì con un pugno al volto, mentre Vesentini lo tratteneva per il codino. In quel momento stavano transitando altri due giovani: Edoardo Cazzarolli venne buttato a terra da Dalle Donne e appunto Tommasoli fu aggredito a morte da Perini e Veneri.
IL RICORSO
Ecco perché, mentre questi ultimi tre erano già finiti in carcere, i primi due avevano presentato un nuovo ricorso in Cassazione. Corsi e Vesentini sostenevano di non aver avuto responsabilità dirette nel decesso del 28enne di Negrar. In particolare Corsi, impegnato a malmenare Csontala, «non si sarebbe neppure accorto di quanto stava accadendo» a Tommasoli. Quanto a Vesentini, «era intervenuto per tentare di separare i contendenti», stando alle testimonianze citate dalla difesa.
IL PRINCIPIO
Secondo la Suprema Corte, invece, tutti e cinque sono colpevoli: «L'azione violenta è stata unitaria, collettiva, di gruppo, non soltanto perché contemporanea e concomitante, ma anche perché i singoli autori non si sono limitati ad aggredire un'unica persona, ma hanno indirizzato la propria violenza anche nei confronti degli altri giovani del gruppo casualmente incontrato, e divenuti oggetto di una inattesa ed incontrollabile manifestazione di brutalità e sopraffazione». 
Per questo i giudici della quinta sezione penale sono arrivati ad affermare, «in tema di concorso di persone nel reato di omicidio preterintenzionale», un principio di diritto che vale «nel caso in cui le aggressioni siano multiple e contestuali, nel tempo e nello spazio, ai danni di più vittime (una soltanto delle quali deceda per effetto delle percosse e/o lesioni subìte)». Il contributo al delitto «può consistere nell'agevolazione dell'aggressione contro la vittima, in ragione della superiorità numerica e della concomitante condotta dei concorrenti di neutralizzazione delle difese altrui (concorso materiale), e nel rafforzamento del proposito criminoso dell'esecutore, che si senta spalleggiato ed incoraggiato dalla concomitante azione degli altri (concorso morale)». Passano così in giudicato le condanne a carico di Corsi e Vesentini, che oggi hanno rispettivamente 31 e 32 anni. Nicola Tommasoli ne avrebbe 40: a lui sono intitolati un centro civico e una borsa di studio.
A.Pe.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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