VERONA - Il 23 agosto 1951 la rivista Settimo Giorno lo descriveva così: «Un grande delfino, lungo tre metri e cinquanta, dello scultore Lucio Fontana, galleggia a fior d'acqua e zampilla dalle narici...».
LA DECORAZIONE
L'attuale proprietario del bene è lo Sporting Club Monza, la cui sede sociale si trova in quella che era la residenza di Ettore Tagliabue, facoltoso petroliere conosciuto come il Grande Gatsby della Brianza e organizzatore di feste leggendarie attorno alla piscina, formata da due cuori intrecciati. Prezioso coronamento artistico dello specchio d'acqua, in cui nuotarono anche Ava Gardner e Ljuba Rizzoli, era il Delfino di Fontana, portato nel 2016 in Austria per essere battuto all'asta partendo da una stima di 500-600.000 euro. Alla vigilia della vendita all'incanto, però, dagli uffici del ministero per i Beni Culturali erano partite alcune note, indirizzate anche ai carabinieri di Monza e alla Soprintendenza di Verona, per dire che la grandiosa decorazione era «un tutt'uno con la piscina» e pertanto non avrebbe potuto essere asportata.
I RICORSI
Il circolo sportivo aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che nel 2018 l'aveva respinto, aprendo la strada al rientro dell'opera in Italia. Nel frattempo la Soprintendenza di Verona aveva così revocato la propria autorizzazione alla libera circolazione, perciò era scattata una seconda impugnazione, questa volta davanti ai giudici del Veneto. Questi ultimi hanno deciso che non intendono «discostarsi da quanto accertato e statuito» dai colleghi di Milano, convenendo sulla circostanza che la scultura è stata realizzata «non oltre il 1951 (è dunque ultracinquantennale), dal maestro Lucio Fontana specificatamente per la piscina di villa Tagliabue, della quale ha continuato a far parte fino al 2015, parzialmente immersa in tale vasca, posata su un basamento dedicato ed emettendo spruzzi d'acqua, con un'intuibile funzione decorativa», per cui il suo distacco dal complesso architettonico «avrebbe dovuto essere previamente autorizzato dalla competente Soprintendenza di Monza». Ma così non è stato.
LA PERTINENZIALITÀ
Per il Tar, c'è «piena evidenza probatoria del rapporto di pertinenzialità tra l'opera decorativa e la piscina», come risulta dalle foto pubblicate sulle riviste di architettura fra gli anni 50 e 90. Il basamento della scultura «non era semplicemente appoggiato al fondo della piscina ma era legato alla stessa dai tubi per il passaggio dell'acqua, come attestato dalle dichiarazioni degli operai che avevano partecipato alle fasi di demolizioni». Inoltre «la statua aveva la funzione di fontana, come dimostrato dalla presenza, tuttora visibile, al suo interno, di ugelli che gettavano l'acqua dalle narici». In definitiva, «eventuali problematiche legate al rientro in Italia dell'opera illegittimamente esportata (...) potranno semmai riguardare l'esecuzione del provvedimento impugnato, ma non influiscono sulla sua validità». Dunque il Delfino dovrà tornare dov'era.