Luca Zaia: «Dieci mesi da incubo, ma nessun sistema è riuscito a resistere come noi»

Giovedì 24 Dicembre 2020 di Angela Pederiva
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia
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VENEZIA - Per la prima volta da quando è presidente della Regione, ieri Luca Zaia non ha aperto il portone di Palazzo Balbi per la tradizionale cerimonia degli auguri.

No distanze, no party. Antivigilia a Marghera, nella sede della Protezione civile che dal 21 febbraio è la sua seconda casa, in vista di feste amare.


È il suo Natale più brutto?
«Decisamente sì. Tra quelli che posso ricordare, è sicuramente il 25 dicembre più triste, perché penso alla mia comunità: in Veneto abbiamo ormai raggiunto dieci mesi di questo incubo. Non è facile per nessuno ed è doppiamente difficile per chi fatica a sbarcare il lunario. Ma posso garantire che per chi ha la responsabilità delle scelte, e se la sente tutta, non è semplice nemmeno leggere il bollettino Covid alla mattina».


Come si spiega che, fra prima e seconda ondata, il Veneto primo della classe sia diventato, secondo qualcuno, l’ultimo?
«Chiariamo una cosa. Il primo e l’ultimo si valutano in base alla qualità delle cure erogate. Nonostante la grandissima pressione ospedaliera, che ha comportato la sospensione delle prestazioni non urgenti, tutti i pazienti vengono presi in carico. Questo succede grazie al lavoro ciclopico degli operatori-eroi, i quali hanno alle spalle una Regione che ha programmato, per esempio acquistando 24 milioni di dispositivi e macchinari senza che nessuno le ordinasse di farlo. Non c’ è nessun sistema sanitario messo meglio di noi nel potenziale di risposta».


I numeri dei positivi, dei ricoverati e dei morti, però, ora sono molto più alti qui: perché?
«Pesa moltissimo l’andamento del contagio nelle varie zone d’Italia, osservato fin da ottobre. Prima il Piemonte, che ha 4,3 milioni di abitanti e 7.500 morti. Poi la Lombardia, rispettivamente 10 milioni e 24.000. Quindi la Liguria, 1,5 milioni e 2.700. Dopo il Nordovest, è toccato al Nordest. C’ è il Veneto con 4,9 milioni di residenti e 5.400 vittime. Ma ci sono anche l’Alto Adige, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia, quest’ultimo malgrado due settimane di zona arancione, come l’Emilia Romagna che ora sta crescendo di nuovo».


Mal comune, mezzo gaudio?
«Assolutamente no. Ma non si può vendere un numero assoluto di infezioni, senza rapportarlo alla quantità complessiva di test, cioè molecolari e rapidi: nelle ultime ventiquattr’ore abbiamo fatto 49.830 controlli, individuando 3.357 positivi, cioè il 6,74%, quando a febbraio con 2.000 tamponi avevamo il 25%. Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, direi che scontiamo lo spostamento dell’onda delle infezioni e la disomogeneità del bollettino nazionale nel confrontare i numeri regionali».


Cosa risponde a chi accusa la Regione Veneto di aver “taroccato” le cifre, per esempio delle Terapie intensive, pur di restare in zona gialla?
« È un’insinuazione meschina, che oltretutto colpisce tecnici di eccellente livello. Il piano sui mille posti è stato deciso ad aprile e completato a giugno, mentre il decreto che istituisce le fasce colorate è stato varato a ottobre. Se fosse vero quello che si dice, significherebbe che siamo dei veggenti. La verità è che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo. Poi di certo la mancanza di distanziamento non ha aiutato».
Intende dire che i veneti sono stati meno ligi degli altri?
«No. Voglio dire l’Italia ha deciso giustamente di non ripetere il lockdown, com’era stato dall’8 marzo al 4 maggio, quando i numeri erano da paura. Abbiamo scelto il compromesso e la convivenza con il virus».


Cos’ è che si rimprovera?
«Di aver fatto troppi tamponi. Oggi paghiamo il conto della nostra virtuosità, in un dibattito che si focalizza sul numero di positivi e non sulla qualità delle cure. Sono stato io a voler comprare i respiratori, quando le Terapie intensive erano dimensionate per 250 pazienti al giorno, mentre oggi ne abbiamo 380 solo per Covid».


Quanto la turbano le minacce ricevute?
«Sono stato educato con un principio: “Male non fare, paura non avere”. Capisco lo scoramento, il momento storico, le difficoltà che fanno girare le scatole. Ma a volte leggo argomentazioni che non c’entrano nulla con i provvedimenti. Anche la storia secondo cui farei una conferenza stampa al giorno per spettacolarizzare la tragedia, e per diffondere la paura, è pura fantasia: siamo l’unica Regione a farla, perché vogliamo che i numeri siano trasparenti. Comunque il nostro operato è specchiato e non devo stare a giustificarmi. Le intimidazioni purtroppo sono il segno dei tempi. Adesso per esempio stanno già arrivando le minacce per la campagna vaccinale: è una colpa anche fare il vaccino?».


Per gli estremisti no vax, sì. Che idea si è fatto degli autori?
« Da un lato ci può essere qualche lupo solitario, che nella disperazione elabora il suo intento minaccioso. Dall’altro però c’ è da dire che spesso queste azioni sono sollecitate da informazioni artatamente distorte. Al di là delle minacce, poi, c’ è chi utilizza il Covid per fare politica. In questo momento invece dovremmo essere tutti uniti».


Non ha colto davvero niente di utile nelle critiche legittime?
« La porta dell’amministrazione è sempre aperta a chi fa critiche costruttive. Ma a volte i toni usati indicano che l’obiettivo è l’attacco personale».


Ha avuto la tentazione di mollare, dal 21 febbraio a oggi?
«Mai. Ho lasciato il ministero per tornare in Veneto, l’ho sempre pensato come servizio ai veneti. Il problema è che, da quando c’ è la Rete, è cambiato il mondo: sono tutti premi Nobel».


A leggere certi commenti, sente di aver perso elettori?
«Non ne ho mai fatto una questione di consenso, ma di coscienza. A volte le due cose possono coincidere, altre volte no. Mi ricordo bene quanti insulti ho ricevuto per la riforma della sanità con la riduzione delle Ulss e l’istituzione di Azienda Zero, o per la Pedemontana. Ma sono andato avanti perché le ritenevo cose giuste».


Cos’ è che la rincuora?
« La vicinanza di una miriade di cittadini. È veramente forte e la condivido con la squadra dei tecnici, che tra prima e seconda ondata si è rimpinguata».


A proposito, come valuta il cambio al vertice della sanità?
«Domenico Mantoan ha segnato la storia degli ultimi dieci anni. Giustamente l’assessore Manuela Lanzarin ha posto l’esigenza di una figura medica, che fosse garanzia di professionalità e che ci permettesse di non perdere tempo: Luciano Flor».


Secondo alcuni non ha un carattere facile, è vero?
«Di persone senza carattere non abbiamo bisogno. Servono professionisti che conoscono e decidono. Com’ è lui».


Cosa farà durante le feste?
«Lavoro, siamo costantemente sul pezzo».


Pranzo di Natale?
«A casa con mia moglie, ci facciamo la nostra zona rossa».


In tutta onestà, con il centrodestra al Governo, crede che sarebbe stato tutto diverso?
«Non mi metterei a fare paragoni. Questo è un momento difficile e unico nella storia, in cui sarebbe inopportuno buttarla in politica: la gente ha bisogno di stabilità».


Per l’appunto: è fondata la crisi del Governo giallorosso?
«Non ne ho la più pallida idea, sono concentrato sul Covid».
Angela Pederiva

Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre, 11:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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