Venezia. La storia dell'editrice Vittoria de Buzzacarini: «Mio padre, l'aiutante del Re»

Suo padre, il marchese Brunoro de Buzzaccarini, discendente di un'aristocratica famiglia padovana, tenente colonnello di artiglieria, è stato l'ultimo aiutante di campo di Vittorio Emanuele III

Martedì 30 Maggio 2023 di Vittorio Pierobon
Vittoria de' Buzzacarini

VENEZIA - Il re Vittorio Emanuele III lo ha incontrato una sola volta, quando era bambina. Invece la frequentazione con la regina Elena, in esilio in Francia, è durata a lungo. Ogni estate andava a trovarla a Cannes assieme al padre. La marchesa Vittoria de Buzzaccarini è un pezzo di storia vivente. Le circostanze della vita l'hanno portata ad essere testimone, o quantomeno depositaria, degli accadimenti, che hanno condotto alla fine della monarchia in Italia.

Suo padre, il marchese Brunoro de Buzzaccarini, discendente di un'aristocratica famiglia padovana, tenente colonnello di artiglieria, è stato l'ultimo aiutante di campo di Vittorio Emanuele III. Lo ha seguito dal 15 agosto del 1942 fino all'abdicazione. Anzi, sull'atto di abdicazione, sotto alla firma del sovrano, c'è quella di de Buzzaccarini, uno dei testimoni che hanno avallato l'autenticità del documento. Ed era anche sul molo di Napoli quando il 9 maggio del 1946, il penultimo regnante di casa Savoia, si imbarcò sulla nave Duca degli Abruzzi per l'esilio volontario in Egitto.

Alla Giudecca

Donna Vittoria, «una ex ragazza di 93 anni», come lei ama definirsi, racconta il romanzo della sua famiglia, seduta in una poltrona nel suo palazzo che si apre sul canale della Giudecca. Venezia, non finisce mai di stupire. Apri quel portone ed entri in una dimensione quasi irreale. Fuori il clamore dei turisti, che stanno ormai sbarcando anche alla Giudecca, un tempo isola-operaia, dentro, tra l'antico mobilio e pareti di libri, un gruppo di ragazzi al lavoro al computer. È la redazione di Charta, la raffinatissima rivista dedicata a bibliofili, librai, antiquari, collezionisti, appassionati di cultura e storia dell'editoria, e di Alumina periodico patinato, che propone articoli su antichi codici, biblioteche, sull'arte della miniatura, accompagnati da immagini di rara bellezza stampate con la ricercata aggiunta del quinto colore: l'oro. Editoria di nicchia. Di alta qualità. In tempi di Internet e libri digitali, sembra di essere ritornati a Gutenberg, l'inventore della tecnica di stampa a caratteri mobili. Al centro dell'enorme tavola, attorno alla quale lavorano i cinque-sei giovani redattori, c'è donna Vittoria. L'editrice, la direttrice, la signora della Charta. Ma com'è finita la figlia dell'attendente del Re a fare l'editrice? «La storia è lunga, cerco di sintetizzarla - comincia a raccontare la marchesa - Sono nata a Padova da una famiglia altolocata, molto in vista, ma a me quella vita non piaceva ed appena ho compiuto 18 anni sono andata a Milano in casa di un parente. Un mezzo scandalo per la morale dell'epoca. L'altro mezzo scandalo è scoppiato quando a Milano sono andata a lavorare in un negozio di moda come vendeuse. Il termine faceva chic, per chi non parlava francese, ma in realtà io facevo la commessa. Mi sono sposata (ma non è durata tanto), sono passata a lavorare in un atelier di tessuti raffinati per l'arredamento. Erano gli anni Cinquanta, stava esplodendo il made in Italy, ho conosciuto molti stilisti e a mia volta mi sono fatta conoscere. Ad un certo punto, pur non essendo giornalista, mi sono ritrovata a scrivere di moda».

Gli inizi

La signora fa una pausa. Racconta lentamente, scandendo le parole, attingendo ad un vocabolario ricco e forbito. Ogni tanto i suoi collaboratori, che ascoltano ammirati un racconto, già noto per loro, ma sempre affascinante, integrano le sue parole con "pezze" giustificative: i libri e i giornali editi dalla casa editrice La Charta. «È stato un mio amico editore, Celestino Zanfi di Modena, che mi ha incastrato. Mi ha chiesto un progetto per un bimestrale di collezionismo e antiquariato libraio e cartofilo. Nell'ottobre del 1992 è uscito il primo numero e non ci siamo più fermati. E io nel frattempo sono diventata "editore per caso". È stato sempre Celestino Zanfi ad incastrami per una seconda volta, sette anni dopo. Mi ha convocato d'urgenza Modena e, senza tanti giri di parole, mi ha detto che era in grosse difficoltà economiche a causa di altre iniziative editoriali poco felici: "ti regalo Charta, cerca di salvarla tu". E così sono diventata editore per caso».

Il testo

Un caso che, qualche anno dopo, l'ha portata a incrociare il suo passato. «Sono venuta a sapere che la casa d'aste Bloomsbury di Roma aveva in catalogo, ma non era riuscita a venderlo, "Il diario di Vittorio Emanuele III". Ho fatto un sobbalzo. Quel diario non avrebbe dovuto più esistere, me ne aveva parlato più volte mio padre. Il re nel corso della sua vita aveva vergato a mano oltre 180 fogli protocollo in cui raccontava, secondo il suo punto di vista, gli avvenimenti della storia d'Italia di cui era stato protagonista. La sua intenzione era di lasciarlo alla moglie, perché lo pubblicasse dopo la sua morte. Aveva persino chiesto a mio padre di batterlo a macchina, durante il soggiorno in Puglia negli ultimi mesi di regno. Ma, sembra incredibile, non si trovava carta per macchina da scrivere. Quando mio padre, dopo qualche giorno, è tornato dal re con la carta, Vittorio Emanuele gli disse di aspettare. Non se ne fece più nulla. Gli eredi non vollero pubblicarlo e pare che la figlia Iolanda lo abbia distrutto. Certo non è mai stato trovato».

L'indice

Ma allora il diario di Vittorio Emanuele messo all'asta cos'era? «Naturalmente l'ho comprato. Diciamo che era l'indice dei capitoli del diario. Solo date, località e singole parole a indicare un argomento. Una specie di agenda. Nel 2013 l'ho donato alla Biblioteca reale di Torino, perché ritengo giusto che sia un patrimonio della nostra storia, fruibile da tutti. Prima però ne abbiamo fatto un clone con la nostra casa editrice. Stessa carta, stesse dimensioni, stesse macchie di sporco. Identico. E come sfogliare l'originale. Lo abbiamo confezionato in un cofanetto con un libro esplicativo. E sa chi ha fatto la prefazione? Il principe Vittorio Emanuele, il nipote del re». Donna Vittoria sfoglia il libretto, intitolato "Itinerario generale dopo il 1. Giugno 1896". E la storia d'Italia scorre, a volte in italiano, a volte in inglese o francese. Parole secche, senza aggettivi, quasi una scrittura gelida, insensibile al peso e drammaticità degli avvenimenti: 24 ottobre 1896, mariagge, il matrimonio con Elena, principessa del Montenegro. 24 maggio 1915, guerra all'Austria. 31 ottobre 1922, governo a Mussolini, sottolineato in rosso. E quella pagina si chiude con un poco fortunato "Viva l'Italia". Nel 1938 nessun accenno alle leggi razziali. Il 1946 è l'ultimo anno del diario: 9 maggio, abdicazione, partenza per Alessandria d'Egitto. Ma già il 17 maggio sembra tornare il sereno: gita alle piramidi! L'ultima pagina: 24 ottobre 1946, nostre nozze d'oro. E più sotto: "Viva l'Italia. Ora più che mai". Donna Vittoria chiude il libretto. Un sospiro. Sembra dire: ah, avere il diario. Ma suo padre lo aveva letto? Le ha raccontato qualcosa? «Non lo ha letto, il re non gliel'ha mai dato in mano. Lo ha solo visto. Peccato che quando Vittorio Emanuele III era pronto per dettarlo non si trovasse carta». Quasi un segno del destino per la signora della Charta. 

Ultimo aggiornamento: 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci