Paolo Poggi, il calciatore veneziano tornato a vivere a Cannaregio: «Sono spariti i negozi semplici, no alla città museo»

Venerdì 12 Agosto 2022
Paolo poggi

VENEZIA - Bandiera veneziana e del Venezia calcio, Paolo Poggi è cresciuto tirando calci a un pallone a Sant’Elena, per poi varcare la soglia del Penzo, diventandone un simbolo. Il calcio l’ha portato in giro per il mondo, alla fine la scelta è stata di tornare a Cannaregio, dove risiede anche se con numeri di residenti decisamente inferiori. 


«Non ho la competenza per fornire un’analisi tecnica, però leggo questi numeri con un po’ di tristezza, per quanto io continui a godermi la città.

Penso che sia necessaria una riflessione perché non è un fatto degli ultimi anni». 

Non si può pensare a questa città come una realtà museale a cielo aperto, dev’essere una vera realtà


I dati riferiscono di settant’anni di declino. 
«Appunto, qualche domanda ce la dobbiamo fare, non può essere che si dica che la città è cara e quindi le persone vanno via. Serve un’analisi più profonda, ad esempio sulle opportunità che Venezia offre ai più giovani».


Ha girato l’Italia e il mondo, cosa trova di particolare a Venezia?
«Non c’è nulla di particolare, se non tutto. Questa è una città che non ha nulla a che fare con il resto del mondo perché è unica. Forse però proprio per questo bisognerebbe sfruttarla in maniera positiva, non solo a fini turistici».


Serve quindi un reset, un ripensamento generale?
«Mi auguro che chi ne ha le competenze stia facendosi qualche domanda per frenare una discesa così lunga. Non si può pensare a questa città come una realtà museale a cielo aperto, dev’essere una vera realtà».


Viva, quindi, con un tessuto sociale?
«Sì, una città che si muova attorno ai cittadini, verso chi lavora, non una realtà statica e per questo l’auspicio è che qualcosa si muova».


Cioè?
«Sarebbe bello che chi si presenta in città, non solo dal resto del mondo, ma anche chi viene dall’altro capo del ponte (della Libertà, ndr) la rispetti. Non è un luogo dove esagerare facendo festa e mancando di rispetto a Venezia».


Dalla giovane età ad oggi ha girato Italia e mondo, cosa le manca di più?
«Mi manca più di tutto il negozio per il veneziano, come il calzolaio o il locale per il residente. Io sono anche relativamente fortunato, abitando a Cannaregio li ho ancora attorno, ma già a Sant’Elena, qua tante cose sono venuto meno. Sono spariti i negozi “semplici”, che esistevano una volta e offrivano prodotti essenziali».


E cos’è cambiato di più in questa città?
«Ho avuto il privilegio di crescere qui quando ancora era una realtà bella viva. Quello che ho visto in laguna, ma anche in altre città, è la differenza tra la fortuna di esser cresciuto qui piuttosto che altrove. Una volta il pericolo non esisteva, si poteva godere della camminata, del piacere di stare all’aria aperta, non di vedere il mondo attraverso i finestrini di un’auto».


A proposito di pericoli, Venezia è ancora sicura come una volta, o no?
«La percezione è diversa, non è più come allora, ma perché è la società in generale che è cambiata. Diciamo che solo una cosa non si è modificata, l’unico pericolo costante è quello di cadere in acqua».

 
Se Venezia fosse stata un calciatore, all’epoca e oggi, quale sarebbero stati?
«Anni fa avrei detti uno Zigoni, oggi invece un estroso, alla Ibrahimovic».

(t.borz.)

Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 11:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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