Venezia si spopola, Paolo Crepet: «Un fenomeno voluto dagli stessi cittadini che hanno venduto le loro case»

Venerdì 12 Agosto 2022 di Tomaso Borzomì
Venezia si spopola, Paolo Crepet: «Un fenomeno voluto dagli stessi cittadini che hanno venduto le loro case»
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VENEZIA - Psichiatra, sociologo, autore e scrittore, Paolo Crepet è nato a Torino, ma si sente veneziano da sempre, visto che padre e nonni erano lagunari e lui stesso ha frequentato la città sin da bambino. L’abbattimento della soglia fatidica dei 50mila, un muro infranto, è definito dallo scrittore “terrificante”. «Questo fenomeno numerico terrificante è stato voluto dai veneziani, avviando una vendita delle case dagli anni Cinquanta, quando si è sviluppata Marghera e Mestre è diventata una città commerciale, oltre che quando qualcuno ha capito che Venezia non aveva gli ascensori». 


Un impoverimento progressivo?
«Pian piano si è fatto sì che si desertificasse, seppur con un luogo culturale primario, si pensi a Guggenheim, Ca’ Pesaro o la Biennale». 


E ora?
«Si pagano decenni di abbandono culturale.

Una volta c’erano gli Agnelli che avevano una loro galleria e producevano due-tre mostre all’anno, portando turisti da tutto il mondo. Erano eventi straordinari, mentre ora chi ha comprato Punta della Dogana cosa fa? Fanno mostre di se stessi».


Com’è cambiata la cultura in città? 
«Negli anni Settanta-Ottanta Piano e Vedova portavano cultura che arricchiva. Oggi non è più così. Mi sono alzato una mattina e mi son trovato venti piani in una nave, per carità, ora le hanno spostate, ma quel turismo di massa ha ucciso la città».


Una deriva legata alle affittanze?
«Cosa vuole che interessi a due danesi dove comprare il prosciutto o un bottone? Sono spariti i “calegheri”, le mercerie, e così sparisce Venezia».


I negozi sono cambiati. 
«Sì, è pieno di venditori di maschere non fatte a Venezia, Murano è un disastro, meno male che son spariti i russi, forieri di orrori. Ma mi chiedo: dov’è finita la Mondadori? Una volta era a venti metri da San Marco, ci rendiamo conto che si presentavano i libri a due passi dalla piazza?».


Le colpe di chi sono?
«Difficile darle solo ai veneziani. Non si può però pensare che siano solo 50mila i residenti, perché di questi chissà quanti sono da fuori. Chiedo però perché i veneziani abbiano ucciso i bacari per lasciare spazio al baretto fighetto per “l’aperitivo fino a notte”». 


Perché?
«Per il silenzio. Se no uno va a Jesolo. Questa città è bella d’autunno, non d’estate». 


Offre un’atmosfera speciale?
«Le calli con la nebbia non esistono altrove. La calle c’è in altre città, ma non con la nebbia, quella è un arricchimento straordinario che ti porta a pensare a un’antropologia del silenzio, dell’estasi e della creatività di cui Venezia si è arricchita».


Poesia pura... 
«Da bambino ricordo le luci nelle calli e nel campetto, c’era il negoziante che rimaneva fino alle 19.30. Poi i palazzi che si illuminavano, lo vedi quando c’è la gente e quando c’è il turista. Luce calda vuol dire gente, fredda uguale a turista. E gli hotel sono pieni di luce fredda. Mentre la vecchietta ha ancora la vecchia lampadina». 


La tendenza, purtroppo, segna un saldo negativo.
«Se facciamo una statistica su chi arriva a Venezia oggi a piazzale Roma, probabilmente il 95% non ha interesse ad andare in una galleria d’arte. Forse vanno a sentire le Quattro Stagioni nella chiesa sconsacrata a Santo Stefano, eccolo il problema dei 49mila di oggi, dei 45mila di domani e dei 40mila di dopodomani».

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Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 11:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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