Addio Serenissima, storia di un suicidio: gli ultimi anni di esistenza della Repubblica e l'arrivo di Napoleone

Domenica 10 Gennaio 2021 di Silvio Testa
Addio Serenissima, storia di un suicidio: gli ultimi anni di esistenza della Repubblica e l'arrivo di Napoleone
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Venezia 1797 - Oltre la fine di un mondo, il romanzo di cappa e spada del veneziano Alessandro Dissera Bragadin racconta gli ultimi anni d'esistenza della Repubblica tra la morte del capitano Angelo Emo e l'arrivo di Napoleone


LA STORIA
Secondo un antico detto, il pesce puzza sempre dalla testa.

Lo conferma anche il romanzo storico Venezia 1797 Oltre la fine di un mondo, del veneziano Alessandro Dissera Bragadin, da poco pubblicato da Mazzanti Libri. È un vero romanzo di cappa e spada, che si svolge nella cornice degli ultimi anni d'esistenza della Repubblica di Venezia, tra la morte assai sospetta, a Malta, nel 1792, di Angelo Emo, l'ultimo Capitano da Màr della Serenissima, e la caduta per mano di Napoleone, nel 1797, favorita, come si capirà dalla lettura, non solo dalla pavidità di larga parte del patriziato ma anche da diffuse complicità di nobili e ricchi borghesi che fecero da quinta colonna per l'invasore.


Di antica famiglia, cultrice di storia veneziana e custode di usi e tradizioni lagunari, Dissera Bragadin, come tanti delle passate generazioni, si è nutrito di letture avventurose, da Salgari a Conrad, da London a Stevenson, e le due radici dell'autore, quella personale e quella familiare, si sono fuse nel romanzo che è ricco di duelli, di colpi di scena, di battaglie navali, di trame occulte, di storie d'amicizia e d'amore che hanno come sfondo le vicende storiche di fine Settecento e come scenario il Mediterraneo orientale, dalle coste dalmate e albanesi all'Egeo e ai Dardanelli, dalla Morea a Candia e Cipro, ma anche il Cadore e il letto del Piave, e tutto lo Stato da Tera della Serenissima, dalla Lombardia al Friuli, senza naturalmente tralasciare il Veneto.


INIZIA L'AVVENTURA

La storia si apre a marzo 1792, primo mese dell'anno more veneto, quando la fregata Fama, listata a lutto e con le insegne del Capitano Generale, sbarca a Corfù il corpo di Angelo Emo, morto improvvisamente a La Valletta (Malta) il primo del mese, e Jacopo Marin, medico della piazzaforte, nell'ispezionare il cadavere riconosce i segni dell'avvelenamento. Perché? Per mano di chi? Tutto il romanzo ruota attorno al tentativo di Marin di risolvere questo giallo, aiutato dall'amico Alvise Zen, comandante del vascello di primo rango Gloria Veneta, che già quella prima sera lo salva dall'aggressione di alcuni misteriosi sicari che evidentemente volevano tappargli la bocca.


Si vis pacem, para bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra. Emo era un riformatore, contrario alla neutralità disarmata che ormai informava la politica della Serenissima e che da lì a qualche anno le sarebbe costata la fine. Voleva ammodernare la Marina, investire nella difesa, riportare i nobili e i cadetti per il mare, e se fosse tornato a Venezia carico di gloria per i successi conseguiti nella guerra che stava conducendo contro i corsari barbareschi sarebbe stato difficile contrastarlo: era chiaramente un personaggio scomodo per un patriziato per lo più imbelle, incipriato e dedito ai vizi, e ormai insofferente alle severe regole della giustizia che ostacolava maneggi e loschi traffici per facili ricchezze.


I borghesi e il popolo, dal canto loro, chiedevano riforme democratiche, non un ritorno all'antico, sull'onda delle vicende giacobine che avvenivano in Francia, alcuni pretestuosamente, mossi dalle medesime egoistiche ragioni dei patrizi, altri per sincera convinzione, come ad esempio Ugo Foscolo, presente tra i personaggi del romanzo, che assai presto avrebbe perso tutte le illusioni nutrite nei confronti di Napoleone.


Da quel marzo 1792 è tutto un susseguirsi di avventure, con una serie di figure di contorno, personaggi storici o di fantasia, coinvolti anche al prezzo della vita, nel tentativo di Marin e di Zen da un lato di andare a fondo nella loro indagine, dall'altro di difendersi da un nemico oscuro, incombente, potente, evidentemente annidato nelle cariche più alte dello Stato dove si erano saldati gli interessi privati a danno di quelli pubblici. Alla fine, il capo della congiura, fino ad allora conosciuto solo come Siòr Rioba, verrà smascherato, ma troppo tardi.


LO STORICO DEL NEGRO

Lo storico Piero del Negro sottolinea che l'oligarchia dominante a Venezia preferì illudersi di salvare le proprietà e il tenore di vita a danno della sopravvivenza stessa della Repubblica e nel romanzo la cornice storica è raccontata con vivezza e certosina puntualità, con i nomi e i cognomi, i ruoli e le scelte nei momenti cruciali di tutti coloro che cercarono di salvare la Serenissima e di quanti, invece, ne ostacolarono l'estremo tentativo.
Si capisce, così, che Venezia avrebbe potuto difendersi, eccome. Aveva ancora una flotta potente, se non la prima certo la seconda del Mediterraneo, dopo quella inglese; ovunque, all'avanzata di Napoleone che aveva violato la neutralità disarmata del territorio della Repubblica, facendone campo di battaglia contro gli imperiali austriaci, si erano mobilitate le cernide, le milizie territoriali, dall'Istria, dalla Dalmazia, dal Montenegro, dal Lombardo - Veneto; le difese erano in cattivo stato ma ci sarebbe stato il tempo per ripristinarle, e il popolo era tutto per San Marco: basterebbe ricordare la rivolta antifrancese delle Pasque Veronesi, mentre Treviso, Vicenza, Padova, Bassano, Conegliano, Feltre, Belluno, il Cadore, Rovigo, Udine avevano rinnovato i giuramenti di fedeltà alla Repubblica; delegazioni armate erano arrivate in Veneto da Bergamo e da Brescia, cadute in mano ai giacobini, mentre le valli lombarde erano tutte in rivolta.


La Laguna era protetta da una linea di fortificazioni che, se pienamente ripristinata dal provveditore incaricato, Jacopo Nani, avrebbe reso la città imprendibile, ma la reazione della Repubblica fu dovunque lenta e contraddittoria, improntata al mantenimento della neutralità, divisa tra una sterile volontà di riarmo e il timore di fare passi decisi che avrebbero dato pretesti a Napoleone per attaccarla direttamente.


Con ruoli cruciali molti patrizi, come Tommaso Condulmer, il successore di Emo, remavano contro, rallentando le operazioni o depistando i finanziamenti. E quanti facevano il loro dovere pagarono poi duramente, come Domenico Pizzamano, comandante del Forte di Sant'Andrea, che il 20 aprile 1797 impedì al Libérateur d'Italie di entrare in Laguna, in ottemperanza al secolare divieto di accesso di navi armate, facendolo prendere all'arrembaggio dalla galeotta bocchese Annetta Bella, e poi venne arrestato per ordine del Senato.


IL SACCHEGGIO ALLA CITTÀ

Certo, Napoleone aggredì uno Stato neutrale e disarmato, spogliò la Città di ricchezze e opere d'arte, ne stravolse il tessuto urbano, chiuse le Scuole, le Arti professionali, i conventi, destinando a una povertà senza assistenza una larga parte della popolazione, fu per Venezia un Attila, come aveva promesso. Ma, diciamo la verità, si limitò a scuotere un albero ormai senza più radici, e se le colpe del Corso furono enormi, non per questo bisogna sottacere che la Repubblica di Venezia di fatto si suicidò, e il romanzo lo mostra con chiarezza e dovizia di particolari.


Il trattato armistiziale in parte segreto di Leoben tra Francia e Austria (17 aprile 1797), che assegnava agli asburgici i territori della Repubblica secondo una trattativa iniziata anni prima, dimostra che ormai Venezia era considerata solo una preda indifesa. Il tentativo di Alba, una giovane cadorina venuta casualmente in possesso dei preliminari del trattato, di renderne noti i contenuti a Venezia, costituisce un romanzo nel romanzo.
In un unico particolare Dissera Bragadin si discosta dalla storia, ed è per il destino della Gloria Veneta, la nave di Alvise Zen: caduta la Repubblica essa nel romanzo continua una propria guerra di corsa, inalberando le insegne venete e partecipando perfino alla Battaglia del Nilo nella quale, ad Abukir, Nelson distrusse la flotta francese. In realtà, catturata dai francesi a Venezia nel 1797, fu ribattezzata Banel e finì distrutta nel 1802 in Algeria.


Ironia della sorte, un anno dopo Abukir Napoleone riuscì a eludere il blocco navale inglese fuggendo dall'Egitto imbarcato su Le Muiron, una nave velocissima e dall'eccezionale capacità di risalire il vento, che altro non era che una fregata leggera veneziana, costruita in Arsenale: l'imperatore se ne fece fare un modello, e lo tenne fin che visse nella sua camera da letto.

Ultimo aggiornamento: 15:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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