Venezia sommersa dall'acqua alta, aspettando il Mose che non c'è

Martedì 30 Ottobre 2018 di Vittorio Pierobon
Acqua alta a Venezia
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Con Venezia sommersa da una delle mareggiate più alte della storia, il pensiero non poteva che finire lì: che fine ha fatto il Mose? Se c'era un giorno in cui sarebbe stato utile, era ieri.

Con le dighe mobili sollevate i 156 centimetri d'acqua, che hanno coperto tre quarti di Venezia, sarebbero rimasti fuori dalla laguna. O almeno così dovrebbe essere. Così ci hanno detto. Per anni il verbo era questo: il Mose servirà a proteggere Venezia dalle acque alte, non da quelle medie. Ma la Grande Opera, la più grande di tutte le Grandi Opere è affondata. In tutti i sensi.
 

Fisicamente perché la maggior parte delle strutture, con meccanismi di altissima ingegneria, sono sotto acqua, pronte a sollevare le enormi paratoie che dovrebbero proteggere la città. Ma affondata anche nella pratica, travolta dagli scandali e dal lievitare dei costi. Dicono che siamo oltre il 90 per cento della realizzazione. Ma nessuno osa  dire quando sarà inaugurato. Se mai entrerà in funzione. Il Mose rischia di diventare l'Atlantide del terzo millennio. La rabbia monta a Venezia. In giornate come quella di ieri la fragilità dell'ecosistema lagunare viene messo a durissima prova.

 La forza degli elementi dà la sensazione di fagocitare la città. Fortuna che la diga dei Murazzi, la barriera contro la furia del mare, è stata costruita dai veneziani della Repubblica Serenissima. Come la Muraglia cinese resiste al tempo e alle forze della natura. Non altrettanto si può dire del Mose: è già vecchio ancor prima di essere inaugurato. Le porte blindate, che avrebbero dovuto resistere cent'anni, sono già attaccate dalla ruggine e i crostacei stanno ricoprendo le inutili barriere sepolte sott'acqua. E da più parti si sollevano dubbi sulla tecnologia adottata, figlia di un'epoca molto vicina, ma distante anni luce rispetto ai progressi scientifici. Il processo al Mose è iniziato da anni. Era sotto accusa già prima che iniziassero i lavori. Posizioni ideologiche, visioni contrapposte. La memorabile frase di Cacciari, «Contro l'acqua alta meglio gli stivaloni del Mose», è più che mai attuale. Per ora hanno vinto gli stivaloni che, per quanto venduti a prezzi da boutique, costano nulla in confronto ai miliardi del Mose. Quanti? Il conto si è perso. Forse 8 miliardi. Una mezza manovra finanziaria. Al netto della cospicua fetta che è finita nelle tasche di Mazzacurati, l'onnipotente presidente del Consorzio Venezia Nuova, da anni fuggito nella sua dimora nei Stati Uniti, e l'allegra brigata di politici, tecnici e funzionari corrotti, che hanno mangiato per anni. Ecco il Mose ha il merito di aver prodotto ricchezza: per il consorzio di imprese che hanno costruito le dighe e per il consorzio di ladri, che ha succhiato per anni milioni di euro dal fiume di denaro che lo Stato ha gettato su quest'opera. Nell'Italia che si divide su Tav, Tap e ogni altra grande opera (e anche grande nave), ormai non si parla più del Mose. Nell'immaginario collettivo viene già dato per perso. In realtà, proprio la mareggiata di ieri è stata un grande spot per il Mose. Venezia, pur essendo molto più solida e preparata di quella che fu sommersa dall'Acqua Granda nel 1966, ieri ha dimostrato la sua fragilità. È una vecchietta che va protetta. I lavori di messa in sicurezza servono. In tutto il Veneto ieri sferzato dalla furia di vento e acqua, i danni sono stati mitigati dalle opere realizzate dopo l'alluvione del 2010: gli argini rinforzati e i bacini di laminazione hanno contenuto le acque. Soldi spesi bene. Lavori fatti in fretta. Perché non provare anche con il Mose? Otto miliardi di denaro pubblico avranno il diritto di una prova sul campo? Possiamo almeno sapere se il Mose funziona?

Ultimo aggiornamento: 12:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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