I 90 anni di Mario Rigo: "Questa
è stata la mia Venezia"

Venerdì 4 Ottobre 2019 di Elisio Trevisan
I 90 anni di Mario Rigo: "Questa è stata la mia Venezia"
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MESTRE - Nel 1980 Mario Rigo si inventò il Carnevale di Venezia resuscitando quello della Serenissima, nel 1983 propose un ticket di accesso alla città storica contro l’invasione dei turisti senza regole, nel 1987 criticò duramente il Mose. E ancora: fu uno dei primi a creare una lista civica, e organizzò il referendum per la separazione che ebbe più successo.
Oggi che compie 90 anni qualche ricordo può spolverarlo e metterlo sulla mensola del camino come un trofeo, se non altro morale e politico, anche se allora sembrò una sconfitta. 
Mario Rigo è un socialista anomalo nella storia della Repubblica e soprattutto di Venezia, anomalo perché non allineato con gli altri socialisti che comandavano ai tempi in cui fu sindaco a Ca’ Farsetti (dal 1975 al 1985), ma del resto neanche con il Pci andava molto d’accordo. Nel 1979, ad esempio, chiese un contributo pubblico per vivificare la stagione invernale cittadina ma i due Gianni (Pellicani allora re del Pci, e De Michelis del Psi) glielo negarono.
«Mi arrangiai con gli amici della Settemari e fu un successo. L’anno dopo mi accordai con Maurizio Scaparro, direttore della Biennale Teatro, affinché spostasse le manifestazioni da settembre a febbraio e creammo il Carnevale, la fine del mondo con 100 mila persone che invasero pacificamente la città. Mi resi conto, allora, che era nato il turismo di massa».
Turismo che oggi vede il Carnevale solo come una delle tante giostre che può trovare in centro storico, come l’acqua alta.
«Purtroppo oggi è la negazione di ogni valore culturale, una tra le tante attrazioni di Venezia, scollegata da qualsivoglia aspirazione culturale, una paccottiglia di falso veneziano che la condannerà, necessariamente, all’estinzione».
Pci e Psi le bocciarono il Carnevale come pure (appoggiati dalla Democrazia Cristiana di Costante Degan) il ticket che, invece, era auspicato dalla Soprintendenza e da istituzioni internazionali come Unesco e Gugghenheim.
«De Michelis, riposi in pace, mi disse che avevo preso un colpo di sole. E invece oggi si vive in una città che non è più Venezia, e fermare almeno ulteriori danni è un dovere imprescindibile, quindi il ticket non ha alternative. Tanto più che la tecnologia aiuta anche se è difficile intercettare gli accessi turistici. Certo che se l’avessimo fatto 30 anni fa, a quest’ora i problemi organizzativi non ci sarebbero più».
Amici nemici per la pelle con Psi e Pci, come quando nel 1987 Rigo si presentò a Ca’ Farsetti con un’intemerata contro il Mose che fece cadere la giunta del recentemente scomparso socialista Nereo Laroni, dopo appena due anni di mandato.
«All’epoca non si chiamava ancora Mose ma opere alle bocche di porto. Dissi che non è possibile decidere in termini contraddittori, utilizzare da subito la progettazione e la realizzazione di opere alle bocche di porto mentre gli studi delle varianti in corso potrebbero contraddirle, e nemmeno dire che vi sono utili elementi per lo studio del sistema alternativo al Canale dei petroli senza ammettere che questi segnano una modifica dei fondali delle bocche di porto. Sono contraddizioni che non possiamo buttare dentro il “forno Venezia”».
Mario Rigo è sempre stato così, buttava lì le idee come fossero pallottole con il sorriso aperto e tagliente che conserva anche oggi, come quando nel 1993 ha promosso uno dei quattro referendum per separare Venezia da Mestre.
«Il programma della mia prima lista civica “Iniziativa Civica” (1990) era basato proprio sulla creazione delle due città, Venezia e Mestre».
E l’esito di quel referendum fu quello più a favore della separazione, col 44% dei voti. Oggi, con la sentenza del Consiglio di Stato che obbliga la Regione a fissare la data del voto per la quinta consultazione, il tema è tornato d’attualità.
«Più che attuale: oggi il degrado di Venezia e la mancanza di identità di Mestre pongono il problema in modo drammatico. Il quesito, in termini di valore, è preciso: vale di più la Venezia attuale, turistica, o la Venezia della cultura? La Biennale può rappresentare un bene economico? Lo stesso discorso vale per Mestre: vale di più la Mestre para-turistica o una Mestre che fa maturare tutte le sue potenzialità urbanistiche, economiche, associative? La risposta è inequivocabile».
Lei, assieme a Indro Montanelli, ha sempre parlato di una “città stato”.
«È l’unico modo per farla sopravvivere, nella sua identità storico-culturale. Venezia internazionale, altro che metropolitana, che venga vivificata istituzionalmente dalla presenza di entità sovrannazionali quali l’Unesco».
E di Mestre cosa ne facciamo?
«Mestre, sì, dev’essere città metropolitana: la forza viaria, portuale, ferroviaria, aerea, di Venezia si è trasferita a Mestre. E, una volta indipendente, avrà la possibilità di dotarsi di una sua identità storica, civile, culturale».
Nel 1979 lei ricevette con la fascia tricolore Hua Guofeng, primo ministro cinese dalla morte di Mao nel 1976. Fu una delle presidenze più corte, perché venne destituito nel 1981, ma quella visita fu un primo sassolino della Via della seta.
«Io non guardavo agli aspetti economici ma agli scambi culturali. Proposi a Hua Guofeng la possibilità di una mostra culturale sulla Cina e di un gemellaggio con una città cinese. Dopo essersi fatto spiegare cosa fosse un gemellaggio, diede il suo assenso, e così ci gemellammo con Suzhou e organizzammo le mostre “7000 anni di Cina” (1983) e “Dalla dinastia Han a Marco Polo” (1986), mentre nel 1985 uno straordinario congresso di studi sull’archeologia cinese. Di fatto Venezia era diventata, in quegli anni, la sede per gli scambi culturali tra la Cina e l’occidente. Purtroppo la cosa non venne raccolta dai miei successori».
Noalese di nascita, il 4 ottobre del 1929, aveva 16 anni quando finì la Guerra, ha visto la prima e la seconda Repubblica e guarda il marasma attuale, lei che ancora può farlo dato che i suoi amici nemici di un tempo sono tutti defunti.
«I veri protagonisti della politica dei miei tempi erano i due Gianni, Pellicani e De Michelis, negli anni della partitocrazia in cui ogni decisione veniva presa dai partiti e trasferita poi agli amministratori, i quali diventavano dei meri esecutori. Io riuscii a mantenere l’autorità su Venezia grazie all’impegno nel seguire l’attuazione delle molteplici decisioni comunali e fondamentale diventò il rapporto con tutte le categorie, a partire dagli artigiani fino a tutte le varie “benefiche” eredi, modeste ma piene di buona volontà, delle vecchie schole veneziane».
Ma con Pellicani e De Michelis, oltre ad essere amico nemico, che rapporto aveva?
«Pellicani era il titolare del partito di maggioranza della giunta, autorevole e decisionista, e con la delega della Legge Speciale assunse l’incarico più importante. La nostra amicizia, che ci legava fin dai nostri primi anni di età, consentì un rapporto di assoluta lealtà. Mentre il dialogo con De Michelis era difficile, quello con Pellicani era continuo, approfondito e produttivo».
Meno di trenta parole per definire ciò a cui tiene di più della sua storia veneziana.
«La mia è stata la ricerca di un percorso che porti Venezia ad esprimersi come forza vitale in virtù del suo essere bene culturale».
Elisio Trevisan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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