Venezia inventò i lazzaretti e la "quarantena" per difendersi dalla "morte nera"

Mercoledì 5 Febbraio 2020 di Alessandro Marzo Magno
Un caseggiato sull'isola del Lazzaretto nuovo
3
VENEZIA - Tutta colpa della peste bubbonica: se ancora adesso esiste la quarantena lo dobbiamo a quella pandemia talmente letale da sterminare circa un terzo della popolazione europea e da essere chiamata Peste Nera. Sono stati i veneziani i più veloci a reagire e a istituire ancora nel primo anno di epidemia (1347) una magistratura con compiti sanitari (poi provveditori alla Sanità), a ricoverare dal 1403 i passeggeri provenienti da luoghi infetti nell’isola di Santa Maria di Nazareth, detta Nazarethum, nome presto modificato in Lazzaretto. Già nel 1377 i dirimpettai ragusei d’oltre Adriatico avevano stabilito che bisognasse attendere trenta giorni prima di entrare in città: i veneziani la chiamano «contumacia» e poi col tempo diventa «quarantena». Andiamo con ordine: epidemie che hanno falcidiato l’umanità ci sono state fin dai tempi più antichi. Qualcuna, probabilmente, era anche stata di peste bubbonica, ma in forma non particolarmente virulenta e limitata nello spazio. I romani con la parola «pestis» indicavano genericamente le epidemie, mentre nel medioevo si sono avuti certamente episodi di vaiolo, colera, peste polmonare, morbillo.
LA MORTE NERA
La peste bubbonica era però quasi sconosciuta e quindi la popolazione europea non aveva sviluppato alcun anticorpo contro la malattia che arriva nel 1347 portata da un topo. In quell’anno la colonia genovese di Caffa (l’odierna Feodosia), in Crimea, è assediata dai tartari. L’epidemia era arrivata dalla Mongolia lungo la via della Seta e si era già manifestata tra gli assedianti che pensano bene di gettare con le catapulte all’interno delle mura alcuni cadaveri di appestati. Una forma di guerra batteriologica, quindi, e non era affatto inusuale gettare carcasse in putrefazione nei luoghi che si volevano espugnare. L’assedio viene tolto proprio a causa della peste che affligge gli uomini del khan tartaro. I soldati se ne vanno, ma le pulci restano e gli insetti diffondono la malattia: le pulci, infatti sono portatrici del batterio Yersinia pestis. 
COLPA DEI TOPI
I ratti, come si sa, scorrazzano allegramente sia tra i cadaveri sia nelle case, tanto più in quei tempi in cui non si badava granché all’igiene. Le pulci, che si nutrono di sangue, si fanno trasportare dai roditori e quando i ratti vengono in contatto con gli esseri umani si attaccano a questi ultimi per sorbirne il sangue. Se però sono infette, trasmettono il batterio agli uomini, contagiandoli a loro volta. Quindi ci vuole questo trinomio: batterio, pulce, ratto, perché la peste si trasmetta. Purtroppo uno o più topi infetti salgono a bordo di una galea genovese che salpa gli ormeggi da Caffa e nel 1347 approda a Messina: il porto siciliano costituiva spesso una tappa delle lunghe rotte che univano il Mediterraneo al mar Nero. A Messina succede il patatrac: i ratti scendono a terra, le pulci banchettano con il sangue dei siciliani trasmettendo loro il batterio. In pochi anni l’Europa è sterminata. L’Italia viene colpita subito – e abbiamo visto che Venezia reagisce in gran fretta – nel 1348 la peste flagella l’Europa centro-meridionale e nel 1349 raggiunge l’Europa del Nord. La mortalità è altissima: la metà di chi si ammala, muore. 
UN’ECATOMBE
Quattro anni più tardi si spengono gli ultimi focolai e il continente non è più lo stesso: i demografi pensano che le vittime siano state all’incirca venti milioni su una popolazione totale che allora si aggirava sui sessanta milioni. In alcuni luoghi muoiono fino al 60-70 per cento degli abitanti, alcune cittadine dell’Italia centrale torneranno ai livelli di popolazione pre 1348 soltanto con il boom demografico degli anni Sessanta del Novecento. Naturalmente non si sapeva né come né perché ci si ammalava: il batterio Yersinia pestis è stato scoperto soltanto nel 1894. L’ultima epidemia di peste bubbonica in Europa è stata quella di Marsiglia nel 1721, non si sa perché dopo quattro secoli di virulenza la malattia fosse quasi scomparsa senza alcun apparente motivo. Si riteneva che la peste fosse prima di tutto una punizione divina per i peccati commessi, per cui ci si dava da fare con messe e processioni che non facevano altro che allargare il contagio. In sovrappiù se ne addossava la responsabilità ai capri espiatori di sempre: ebrei, mendicanti, marginali in genere, accusati di diffondere la malattia. Per quattro secoli, l’unico modo di difendersi è stato isolarsi, si formavano le «cinture sanitarie».
BOCCACCIO E IL DECAMERON
Il “Decameron” di Giovanni Boccaccio è ambientato proprio durante la Peste Nera del 1348: sette donne e tre uomini per dieci giorni si trasferiscono in campagna fuori Firenze per evitare il contagio. Siccome devono passare il tempo senza annoiarsi troppo, si raccontano novelle l’un l’altra. Lo sconquasso provocato dalla pandemia di metà Trecento è tale che si prendono provvedimenti. A Venezia si vara una vera e propria polizia sanitaria marittima che obbliga i navigli sospetti d’infezione a ormeggiarsi nei canali di Fisolo e Spignon, tra la bocca di Malamocco e Poveglia, mentre le singole persone già dal 1403 devono attendere una quarantena (veneziano per quarantina) di giorni nell’isola del Nazarethum. Molto probabile che sia stato scelto proprio questo periodo di tempo per similitudine con i quaranta giorni di penitenza stabiliti per la Quaresima.
AREA RISERVATA
Già nel 1422, secondo quanto riferiscono le cronache, era stato trasformato in ospedale un ostello per pellegrini infermi di ritorno dalla Terrasanta. Venezia fornisce l’esempio e gli altri seguono: Pisa istituisce un luogo d’isolamento nel 1464 «fuori porta al parlascio rimpetto alla chiesa di San Lazzaro», Genova qualche anno più tardi; dopo i lazzaretti marittimi, si istituiscono pure quelli di terra: a Firenze (1479) e Milano (1489). Venezia, nel 1468, affianca al Lazzaretto Vecchio il Lazzaretto Nuovo, dove si costruiscono anche i magazzini per ospitare le merci sospettate di esser state colpite dal morbo pestifero che vengono fumigate con ginepro o rosmarino. I compiti dei due Lazzaretti si sdoppiano: il Nuovo è rivolto alla prevenzione, il Vecchio al ricovero dei malati. Una curiosità: le maschere del medico della peste, con il lungo naso riempito di erbe aromatiche – oggi tanto in voga durante il Carnevale – non avevano ovviamente nessuna reale virtù terapeutica. Tuttavia, non sappiamo bene perché, quella mistura di erbe odorifere riusciva sgradita ai ratti e contribuiva a tenerli lontani dai medici che, di conseguenza, non venivano morsi dalle pulci infette. Quindi, paradossalmente, i «dottori della peste» non si ammalavano grazie a un rimedio che in realtà era del tutto inefficace. 

 
Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 11:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci