«Io, corniciaio a Venezia tra Picasso, Gottuso e Mitterand»: Trevisanello e le storie della sua bottega

Martedì 17 Maggio 2022 di Vittorio Pierobon
Aldo Trevisanello nella sua bottega di cornici

VENEZIA - Tra i suoi clienti ci sono stati Renato Guttuso, Pablo Picasso, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Osvaldo Licini, Armando Pizzinato e molti altri di quel calibro. Passavano per la bottega in fondamenta Bragadin a San Vio, zona veneziana prediletta dagli artisti, e ordinavano cornici per le loro tele. Anche la Tempesta del Giorgione, esposta alle Gallerie dell'Accademia è passata per le sue mani («Ma desso i gà cambià cornise», puntualizza). Aldo Trevisanello, prossimo a quota 90, è un'istituzione.

Ogni giorno è ancora al suo posto in bottega, aiutato dai figli Filippo e Silvia. Il suo laboratorio per decenni è stato punto di incontro degli artisti che andavano da lui per quattro ciacole e anche per informarsi su cosa stavano lavorando gli altri pittori. Tutti amici, ma rivali. L'arte è anche business. Nel periodo tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta a Venezia il fermento artistico aveva raggiunto l'apice. La Biennale, l'Accademia di Belle Arti, Peggy Guggenheim, i grandi musei, le gallerie private, esercitavano una forte attrattiva e la città era magica fonte di ispirazione. Sono gli anni del grande successo del Premio Burano di pittura che si impose su scala nazionale. «Era un altro mondo - taglia corto Trevisanello - non era una Venezia invasa dal turismo mordi e fuggi. C'erano meno visitatori, però di maggior qualità. Quando ho aperto bottega nel 1960 la città era piena di veneziani, ora semo sempre manco. Non pensavo di fare il corniciaio, avevo la passione per la musica, suonavo e cantavo in un complesso, come si diceva a quei tempi, con discreto successo: il pianista era il figlio di Marco Novati. Tornato da due mesi a Merano, dove ci avevano ingaggiato per la stagione, è stato il mio amico Gianni Demarco, il fondatore della galleria Il Traghetto, a spingermi su questa strada. Mi ha detto che a San Vio si era liberata una bottega di un carboner e mi ha suggerito di aprire un laboratorio di cornici, perché c'era molta richiesta. Io avevo già lavorato come artigiano in un laboratorio del legno. Non smetterò mai di ringraziare Demarco per il consiglio che mi ha dato. Mi ha cambiato la vita».

I BEI TEMPI
E quella di Aldo è stata una vita che si è intersecata con quella degli artisti e degli uomini di cultura che gravitavano a Venezia. «Ero circondato da grandi personaggi che un po' alla volta ho cominciato a conoscere e anche a frequentare». Esce dalla bottega e si avvia per Fondamenta Marcantonio Bragadin, cominciando ad elencare gli ex vicini di casa. È una sorta di Spoon River della cultura: «Qui abitavano numerosi pittori, da Antonio Fulgenzi a Emilio Vedova, da Mario Carraro a Sara Campesan, da Carlo Della Zorza a Giuseppe Turcato, uno dei protagonisti della Beffa del Goldoni, e poi ancora il professor Vittorio Strada, il professor Giannantonio Paladini, grandi architetti come Piero Pinto ed Elena Guaccero, l'archeologa Giulia Fogolari, e in anni più recenti Giuseppe Modenese, il pioniere della moda italiana, e il maestro Fabrizio Plessi e tantissimi altri». Senza dimenticare che basta fare un ponte per trovarsi davanti a palazzo Cini, dove ha vissuto il senatore Vittorio ed ora abitano i suoi discendenti. La concentrazione di personaggi illustri era tale che ne richiamava altri per incontri, passeggiate o pranzi nelle trattorie della zona. Per esempio il poeta Ezra Pound o Iosif Brodskij, l'autore di Fondamenta degli incurabili. Così Trevisanello, dal suo osservatorio privilegiato, negli anni è stato testimone e custode di aneddoti e segreti amorosi. Qualcosa può raccontare senza svelare troppi particolari: «Alfonso Gatto, il poeta, per un periodo era attratto dalla moglie di un personaggio famoso veneziano. Sapeva che la signora ogni giorno passava in Fondamenta Bragadin, lui veniva da me con qualche scusa e l'aspettava per avere l'occasione di scambiare qualche parola. Alberto Moravia, veniva spesso a mangiare al Cantinon, qui a fianco, quasi sempre in buona compagnia».

MONSIEUR LE PRESIDENT
Il personaggio più illustre, una presenza frequente in Fondamenta Bragadin, era François Mitterrand. Il presidente francese, impenitente tombeur de femmes, era di casa a Venezia, sempre ospite dell'amico Zoran Music, il pittore sloveno che abitava a poche decine di metri dalla bottega di Trevisanello. «Il presidente veniva in incognito a Venezia, ma per modo di dire perché aveva quattro uomini di scorta che si aggiravano per le calli attorno e lo aspettavano. Lui era molto amico di Music e direi anche della moglie, Ida Barbarigo Cadorin, la figlia di Guido, il pittore. Andava quasi tutti i giorni alla Giudecca dove, credo, avesse qualche incontro galante. Nel suo tragitto passava davanti alla mia bottega e mi salutava con un cenno e un mezzo sorriso. Un paio di volte è entrato, ma non mi ha mai ordinato cornici».

GLI ARTISTI
Chiacchierare con Trevisanello significa immergersi nella Bella Epoque veneziana della seconda metà del Novecento. Lui con il suo lavoro ha avuto modo di conoscere moltissimi artisti e personaggi. Basta fare un nome è scatta una definizione. Pizzinato? «Forte e generoso». Licata? «Un amico fraterno. A Parigi abbiamo diviso il letto per due mesi nella sua piccola abitazione». Licini? «Il più grande». Plessi? «Bravissimo». Vedova? Qui il discorso si fa serio: «Era antipatico. Faceva fatica a pagare. La moglie mi ha detto che doveva essere un onore realizzare le cornici per lui». A proposito di soldi, si guadagna bene con le cornici? «Si vive, da artigiani. Oggi non sono più di moda, i giovani non vogliono quadri alle pareti. Una volta c'era tanto più lavoro. Mi facevo pagare bene. Ricordo che mi hanno chiesto tre cornici per la mostra di Picasso, a Palazzo Grassi. Il conto era abbastanza salato e io mi facevo scrupoli, ma la direzione del Palazzo mi ha detto di non preoccuparmi. Tanto pagava l'Avvocato. Inteso come Gianni Agnelli». Trevisanello riprende a camminare. Ogni quattro passi un saluto, conosce tutti gli indigeni, per la verità ormai pochi. È tempo di Biennale. Andrà a vederla? «Non credo, ormai è tutto luci e installazioni elettroniche. Non ghe se più cornise».

 

Ultimo aggiornamento: 16:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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