Veneto City, progetto al capolinea dopo anni di progetti e proteste di piazza

Mercoledì 24 Giugno 2020 di Davide Tamiello
Veneto City, progetto al capolinea dopo anni di progetti e proteste di piazza
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DOLO - Negli anni, nell’ambiente, si era meritato un soprannome poco lusinghiero: “La vuota scatola d'oro”. Perché Veneto City, il progetto più dibattuto e contestato negli ultimi 15 anni in Riviera del Brenta, in fin dei conti questo era: un’enorme contenitore da 700mila metri quadrati e 1,7 milioni di metri cubi, senza però un contenuto. In quel dedalo di edifici dalle linee curve e spazi accattivanti (più familiari forse a una piazza Gae Aulenti di Milano che al contesto rurale delle campagne a cavallo tra Dolo e Pianiga) che cosa dovesse nascere nessuno l’ha mai capito. Si era parlato di università, di poli studenteschi, di centri commerciali, spazi espositivi, grandi sedi direzionali. Nulla di fatto, però. Non si è saputo ieri, non si saprà oggi, e di certo non si saprà domani. La delibera della Giunta del Comune di Dolo che ha stabilito la caduta dell’accordo di programma prima della “prescrizione” obbligata (fissata nel 2022) ha sancito la morte di Veneto City: la piccola metropoli commerciale non si realizzerà mai. Vittoria per le associazioni ambientaliste (in primis Opzione Zero) che per anni si erano opposti al progetto con le unghie e con i denti, e forse un po’ di delusione per i Comuni (anche se le amministrazioni sono cambiate rispetto all’epoca) visto che quel patrimonio in Imu qualche problema, alle casse pubbliche, avrebbe anche potuto risolverlo. 
Cala il sipario, dunque, su un’opera su cui a un certo punto avevano creduto proprio tutti: Regione, Provincia (all’epoca non c’era la Città Metropolitana), Comuni e privati. Che il progetto sarebbe finito nel dimenticatoio però era ormai chiaro da tempo. Tre anni fa, con la morte del padre putativo di Veneto City, l’ingegnere padovano Luigi Endrizzi, scomparso a 74 anni per un malore durante una battuta di caccia in Crimea, il tramonto di quella Milano 2 rivierasca era diventato ben più di un sospetto. Nella visione dell’ingegnere, doveva diventare un centro servizi per le imprese venete, una specie di show room permanente, dedicato a innovazione, marketing e analisi di nuovi mercati. Il perno del complesso doveva essere una torre telematica alta 150 metri con un ristorante panoramico all’ultimo piano. Per realizzare il suo sogno, Endrizzi si era rivolto a un archistar di livello internazionale, Mario Cucinella, che ne aveva disegnato i contorni: una smart city green, una splendida cattedrale nel deserto di 51 ettari, con parcheggi per 37mila auto (e 14mila posti di lavoro stimati). 
Un progetto che, per le sue dimensioni e ambizioni, non poteva non entrare nelle mire di chi, in quegli anni, aveva una certa tendenza a mettere la pezza sulle grandi opere venete: la cricca del Mose, l’ex ad di Mantovani Piergiorgio Baita in particolare, aveva messo gli occhi su Veneto City, deciso a entrare nella partita, come è emerso dalle intercettazione uscite 4 anni fa durante il processo. Brogliacci catalogati dalla procura tra gli omissis perché “penalmente irrilevanti”, ma che confermarono che Baita, nel dicembre 2011, a accordo di programma appena firmato, avesse chiesto ai suoi di indagare perché intenzionato a formulare “un’offerta significativa”. Le loro strade, però, non fecero in tempo a incrociarsi: Veneto City si arenò nel limbo e Baita (per le note vicende giudiziarie che portarono poi allo scandalo Mose) venne arrestato.
Ultimo aggiornamento: 08:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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