Tubercolosi, quando i bambini di Venezia andavano a scuola in piazza (e portandosi pure il banchino) Foto

Giovedì 28 Aprile 2022 di Alda Vanzan
Tubercolosi, quando i bambini di Venezia andavano a scuola in piazza

Ci sono storie che ritornano a galla e vengono recuperate grazie alla curiosità. Può capitare, ad esempio, di vedere un vecchio filmato in bianco e nero girato nell'immediato Dopoguerra e chiedersi come mai all'epoca dei bambini così piccoli e gracili andassero a scuola portando sulle spalle non la cartella con dentro i libri e i quaderni, ma direttamente il banco. Un banchetto pieghevole e trasportabile. In pratica, un banco con le bretelle. «Me ne parlò una poetessa di Este, Maria Luisa Rosina, fu lei a spingere per ricostruire questa singolare e per certi versi attualissima storia», dice Giacomo Spoladore, nome d'arte James D. Dawson, regista e autore del documentario che ha ricostruito una vicenda centenaria facendo parlare i personaggi dell'epoca: i bimbetti di ieri che andavano a scuola con il banchetto sulle spalle oggi sono i nonni che seguono i nipoti nella Dad, la didattica a distanza. Ieri era la tubercolosi, oggi è il coronavirus.


LA TUBERCOLOSI


La Grande Peste Bianca.

Così veniva chiamata la tubercolosi nel Settecento, una malattia durata secoli e che pareva non conoscere sconfitta. Ancora oggi la stima è di mezzo milione di nuovi casi di Tbc nel mondo. È così che agli inizi del Novecento, anche come forma di lotta alla malattie infettive, nascono le scuole all'aperto: di fronte a indigenza, malnutrizione, carenza d'igiene, abitazioni e sedi scolastiche malsane e sovraffollate, l'idea era che studiare fuori aiutasse i ragazzi, soprattutto i più deboli di costituzione. Tra le città che vedono promuovere le scuole all'aperto, oltre a Milano e Bologna, c'è Padova. Qui il primo esperimento è datato 1905. Qualche anno dopo, il 24 maggio 1922, su iniziativa del professor Mario Cacciavillani, i banchi con le bretelle arrivano in una cittadina della provincia, Este, solo che qui ci rimangono a lungo.


Maria Luisa Rosina, ex impiegata ora in pensione, poetessa, ne viene a conoscenza quasi per caso, vedendo un filmato dell'Istituto Luce del 1949. Solo che la signora non si limita a sorridere: vuole approfondire, saperne di più, capire come mai a Este i ragazzi andavano a scuola con il banco sulle spalle e perché quell'esperienza è durata nel tempo. È così che entra in ballo il regista Spoladore. «Anch'io - racconta - mi sono appassionato».
Il progetto di realizzare il documentario nasce nel 2020, in piena pandemia da Covid-19, quando i bambini non andavano più in classe perché le scuole erano chiuse a causa dell'emergenza sanitaria e lo studio avveniva con i tablet. Dad, didattica a distanza. Come un secolo prima, quando si studiava sui prati.


LE TESTIMONIANZE


Spinto dalla curiosità della signora Rosina, il regista rintraccia alcuni ex alunni di quei banchi pieghevoli: Valter Pieressa, Maria Luisa Rea, Giustino Crivellaro, Mario Rolandi. E raccoglie le loro testimonianze. «Una penitenza mettersi addosso quei banchetti, quanti pizziconi alle manine». Ricordi e sorrisi: «Le prime parolacce le abbiamo imparate indossando i banchi, c'erano regole precise da seguire, ti dovevi quasi accovacciare, indossare una bretella, poi la seconda. Che fatica». E non solo rimpianti: «Se era bello studiare all'aria aperta? Dipende, perché è vero che c'era il profumo degli alberi in fiore, ma c'erano anche tante api».


IN LAGUNA


Su iniziativa del consigliere regionale Luciano Sandonà il documentario intitolato La scuola mobile all'aperto a Este - Cento anni dopo è stato presentato ieri a Palazzo Ferro Fini, sede dell'assemblea legislativa del Veneto, in vista del convegno programmato per sabato 28 maggio a Este con la locale Pro Loco. E tra i reperti, oltre ai filmati dell'Istituto Luce, c'era anche uno dei famosi banchetti con le bretelle («L'abbiamo recuperato in un magazzino comunale») oltre a fotografie storiche. Come quelle scattate il 21 giugno 1954 a Venezia, quando alcune classi della scuola Pascoli di Este tennero la lezione in piazza San Marco. Ascoltare il maestro Gallana in quel contesto non fu facile: «Eravamo distratti da tutte quelle bellezze architettoniche, tra l'altro il maestro non aveva un megafono, non c'era nessun altro tipo di amplificazione del suono - il racconto di un ex alunno -. Ma non fu una gita, quella trasferta a Venezia fu semmai la dimostrazione che la scuola statale educava bene i suoi allievi, impartendo ordine e disciplina». Un secolo dopo cosa resta? «Il parallelismo tra la tubercolosi che ha flagellato i primi anni del Novecento e il coronavirus - osserva il presidente della Pro Loco, Riccardo Piva -: entrambi hanno stravolto il mondo della scuola ma hanno dato il la alla sperimentazione di nuovi modelli educativi».
 

Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 10:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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