Operazione Black Delta: Fragomeni & famiglia tra bonus Covid intascati e mascherine da piazzare

Mercoledì 25 Gennaio 2023 di Nicola Munaro - Davide Tamiello
DURANTE L’EMERGENZA Nicola Fragomeni è stato sindaco di Santa Maria di Sala dal 2012 al 2022

VENEZIA - L’accusa della Procura di Venezia è di quelle in grado di lasciare una macchia indelebile su una carriera e una vita: aver speculato sulla pandemia. Nel momento in cui Stato e amministrazioni locali si sono ritrovate all’improvviso in prima linea per gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti, nel momento in cui si doveva fare da incudine tra la rabbia di chi era costretto a chiudere le proprie attività e la frustrazione di chi vedeva morire i propri cari divorati dal virus, qualcuno, per gli investigatori, avrebbe preso la palla al balzo per trarne profitto e vantaggi. Tra questi ci sarebbe stato, stando all’ipotesi degli inquirenti, anche il sindaco di Santa Maria di Sala Nicola Fragomeni, che aveva avviato con il fratello un business sulla vendita dei dispositivi di protezione individuale.

Ma non ci sarebbe in ballo solo l’operazione delle mascherine: la Procura, infatti, contesterebbe all’ex sindaco anche di aver sottratto i buoni spesa Covid riservati alle famiglie bisognose. Una vicenda per cui sarebbe stata coinvolta anche la moglie dell’ex primo cittadino: per i carabinieri, che hanno condotto le indagini con intercettazioni e ambientali per tre anni, Fragomeni si sarebbe appropriato di una cinquantina di buoni (del valore di dieci euro l’uno, totale di circa 500 euro) che avrebbe poi speso insieme alla moglie nel Natale del 2021. Fragomeni e consorte, infatti, li avrebbero utilizzati in alcuni supermercati del Padovano e di Santa Maria di Sala, motivo per cui sarebbero indagati entrambi con l’accusa di peculato. Il gip, in ogni caso, non ha ritenuto che per questo reato fosse necessario emettere una misura cautelare. 

LE MASCHERINE
Secondo il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Antonio Liguori, gli affari sulle mascherine avevano avuto un’accelerata quando la Fragomeni Group - di fatto gestita da Giovambattista Fragomeni, fratello di Nicola - si era buttata sulla fornitura degli enti pubblici, da alcuni Comuni vicini, alle aziende di trasporto locale, a società di servizi. La svolta ha una data precisa, il 13 marzo 2020. Dopo una riunione della Conferenza dei sindaci del Veneziano nella sede dell’Ulss 3 Serenissima, Nicola Fragomeni e il fratello avevano deciso di allargare i propri orizzonti puntando forte sul bacino da cui potevano attingere grazie ad un fornitore cinese, un «tale Tommy». Come ricostruisce l’ordinanza, c’era la possibilità di importarne 100mila, comprandole ad un prezzo di 0,56 euro per poi rivenderle «con conseguente cospicuo guadagno».

IL SALTO DI QUALITÀ
«La sera del 13 marzo 2020 rappresenta un momento cruciale del business dei fratelli Fragomeni, infatti, se sino a quel momento aveva visto coinvolte nel business aziende private, da quel momento in avanti venivano interessate anche aziende pubbliche», scrive il gip Liguori.

Che tratteggia anche i ruoli dei due fratelli: «Il sindaco, forte della sua posizione pubblica e dei rapporti con altri enti statali o società fornitrici di pubblici servizi, aveva il compito di procacciare la clientela; Giovambattista Fragomeni, con la Fragomeni Group, il compito di tessere rapporti con il fornitore estero nonché anticipare le somme necessarie per acquistare e importare il prodotto».


I DUBBI
Nell’ordinanza però trovano spazio i dubbi sulla bontà delle mascherine distribuite. Nel corso di una telefonata in cui si parla del fornitore, Giovambattista Fragomeni dice al fratello «che “hanno trovato la scatola con la scritta CE” e il sindaco: “Grande” facendo così sorgere - sottolinea il gip - i dubbi circa la regolarità dei dispositivi che andavano ad importare». Sul punto (cioè sul marchio della Comunità Europea, garanzia della bontà del prodotto), «il sindaco parlando di una partita di mascherine riferiva al fratello di dire al fornitore Tommy che bisognava fornire altre scatole con la scritta CE». Che ci fosse la necessità di non far comparire la società di casa nelle fatture, era chiaro allo stesso ex primo cittadino. A emettere le bolle false verso gli enti erano, quindi, altre tre società.

 

Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 10:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci