Camorra, Il superteste Sgnaolin“scagiona” l’ex sindaco di Eraclea

Venerdì 11 Settembre 2020 di Gianluca Amadori
L'ex sindaco di Eraclea, Mirco Mestre

ERACLEA - «Mirco Mestre era una “testa di legno”: il vero sindaco di Eraclea è sempre stato Graziano Teso. Era a lui a comandare e in paese lo sapevano tutti».
Christian Sgnaolin, l’imprenditore sandonatese che per anni è stato il braccio destro di Luciano Donadio, lo ha dichiarato ieri, nel corso della seconda udienza dedicata alla sua deposizione, nel corso della quale ha parlato in più occasioni dei rapporti del boss della camorra del Veneto orientale con il mondo politico locale. Rispondendo alle domande dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, Sgnaolin ha riferito che Donadio finanziò con 10 mila euro la campagna elettorale in cui Teso fu eletto sindaco nel 2006, consegnando i soldi all’imprenditore Graziano Poles affinché glieli consegnasse: non voleva, infatti, che all’esterno si sapesse della sua vicinanza con un personaggio così discusso, che a tutti si presentava come esponente dei casalesi. 
Sgnaolin ha ricordato anche la vicenda dell’hotel Victory, che Poles e Donadio hanno cercato a lungo di vendere, e dell’aiuto che Teso avrebbe fornito per consentire loro di portare a termine l’affare. Teso è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e per lui il processo è in corso con rito abbreviato.
«IL SINDACO FU CORRETTO»
Quanto alla posizione di Mestre, accusato di voto di scambio in relazione all’appoggio che Donadio gli assicurò alle elezioni del 2016, è stato in qualche modo “scagionato” dall’ex braccio destro di Donadio, il quale ha dichiarato che l’allora sindaco (era anche avvocato civilista del boss) si comportò in maniera corretta nella gestione del progetto per l’impianto a biogas che, secondo la Procura, sarebbe stato l’oggetto di scambio per i voti ricevuti. Sgnaolin ha spiegato che non fece nulla per accelerare le pratiche: anzi, si impuntò affinché tutto passasse attraverso la Conferenza di servizi, limitandosi ad ascoltare in cosa consistesse l’impianto per poi incaricare un tecnico comunale di istruire la pratica. L’impianto, a cui era direttamente interessato lo stesso boss dei casalesi, non vide mai la luce: «I documenti necessari non furono mai depositati dal proprietario del terreno, Paolo Valeri», ha spiegato Sgnaolin. Precisando che Valeri non aveva mai voluto figurare nel progetto in quanto in passato aveva appoggiato alle elezioni l’avversario di Teso ed era certo che una sua iniziativa non sarebbe mai passata.
IL BONUS RENZI
Nel corso di un’udienza fiume, durata quasi nove ore, l’imprenditore sandonatese ha ricostruito nei dettagli le numerose attività criminali del clan Donadio, a molte delle quali ha partecipato fattivamente in qualità di responsabile finanziario del gruppo imprenditoriale del boss. Innanzitutto le frodi all’erario, commesse grazie alla complicità di commercialisti e la falsificazione di documenti: oltre a lucrare sui crediti Iva, il boss dei casalesi aveva trovato un sistema per fare i soldi utilizzando indebitamente il “bonus Renzi”.
La fonte principale di guadagno veniva garantito da una produzione copiosa di false fatture: gran parte delle società che appartenevano a Donadio, intestate a prestanome analfabeti, erano di fatto inattive e si limitavano ad emettere fatture a fronte di prestazioni inesistenti che, attraverso un collaudato meccanismo, consentivano a Donadio di intascarsi il controvalore dell’Iva. 
DIRETTORI DI BANCA
Gran parte delle operazioni illecite, ha spiegato Sgnaolin, sono state rese possibili grazie a direttori di banca compiacenti, che consigliavano le scorciatoie migliori e non segnalavano le irregolarità all’antiricilaggio. Il boss si appoggiava ad una decina di banche e Sgnaolin passava le sue giornate ad andare da una all’altra per chiedere linee di credito, sistemare le paghe dei dipendenti (alcuni dei quali fasulli, altro metodo che consentiva a Donadio di ricavare ingenti provviste in nero) ed effettuare altre operazioni. Una parte della deposizione dell’imprenditore è stata dedicata all’aiuto fornito dai due direttori imputati di concorso esterno in associazione mafiosa, Marco Donati e Denis Poles, i quali respingono ogni accusa.
Sgnaolin ha poi parlato delle molte armi che Donadio aveva a disposizione («Sono pronto ad ogni tipo di guerra», era solito vantarsi) e alle talpe nelle forze dell’ordine che avvisavano il clan delle perquisizioni in arrivo, ma anche delle intercettazioni a cui erano soggetti.

L’imprenditore ha confessato di aver cercato di uscire dal giro, ad un certo punto, ma fu picchiato e la sua famiglia minacciata. «L’arresto dello scorso anno è stata una liberazione», ha dichiarato.

Ultimo aggiornamento: 08:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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