«Devi restare in carcere». Detenuto non regge: si toglie la vita in cella

Mercoledì 7 Giugno 2023 di Roberta Brunetti
Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia
VENEZIA - Morto suicida nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore dopo aver ricevuto un’ordinanza di custodia arrivata a così tanta distanza dai fatti. Ben cinque anni, in cui per Bassem Degachi - 39enne tunisino, da anni residente a Mestre, alle spalle una storia di droga, tra consumo e spaccio - erano cambiate tante cose: stava scontando una pena per fatti di droga, da un anno aveva ottenuto la semilibertà e usciva regolarmente dal carcere per andare a lavorare nel cantiere di una remiera, soprattutto cominciava a immaginare un futuro diverso. Così quando ieri, in cella, gli è stato consegnato quel plico di carte che disponeva la sua custodia cautelare in carcere per altri fatti di droga del 2018, deve essergli crollato il mondo addosso. Ha chiamato la moglie, Silvia Padoan, per dirle addio. Un’unica telefonata, disperata, che ha gettato tutti i familiari nell’angoscia. Per tre volte raccontano di aver chiamato il carcere per chiedere agli operatori di stare vicino al loro congiunto. Tutto inutile. Tre ore dopo è stato l’ufficio matricola di Santa Maria Maggiore a chiamare Silvia Padoan e a comunicarle il suicidio del marito.
DALLA GIOIA ALLO SCONFORTO
Una vicenda che farà molto discutere, quella di Bessem Deghaci, tra gli indagati di questa nuova operazione contro la spaccio in via Piave che ha avuto tempi tanto dilatati. I familiari sono intenzionati a presentare una denuncia, per fare chiarezza sulle ultime ore trascorse in carcere dal loro caro. E «sconvolto» si dice anche l’avvocato Marco Borella, difensore di fiducia di Bessem Degachi: «In passato aveva fatto i suoi errori, certo, ma stava pagando. Aveva già scontato due anni e mezzo. Da circa un anno era in semilibertà e lavorava in un cantiere, dove erano molto contenti di lui. Ho le lettere di encomio del datore di lavoro. Tra pochi giorni avrebbe avuto un permesso premio di una settimana e a settembre speravamo di ottenere la messa alla prova per farlo uscire dal carcere. In questo periodo era tranquillo, felice, gli stava andando tutto bene. Fino all’ordinanza di ieri che deve averlo fatto crollare. Era per fatti vecchi, avremmo trovato una soluzione». Ma Degachi non ha retto il peso.
QUELLE TELEFONATE INUTILI
E ora lo strazio dei familiari è misto alla rabbia. Troppo provata per parlare la moglie Silvia, a fare da portavoce è la cognata Elisa Poletto. «Questa vicenda non può restare nascosta. Non si può far morire così una persona. Noi avevamo chiamato per tre volte il carcere per dire che stessero attenti, che Bessem voleva uccidersi. Per tre volte ci hanno risposto che andava bene, che avevano capito. Invece». Poletto ricostruisce queste ore drammatiche. «Dopo la notifica dell’ordinanza Bessem è stato isolato. Alle 12 ci ha chiamato con il telefono che aveva avuto con la semilibertà, che però non può ricevere telefonate. Era fuori di sè. Ci ha detto che non poteva reggere questa nuova carcerazione, che si sarebbe ucciso, che gli dispiaceva di lasciare la moglie sola, ma che non ce la faceva più. Abbiamo cercato di rassicurarlo, ma era disperato. Noi, che lo conosciamo, abbiamo capito che la situazione era grave. Bessem sembrava un uomo forte, in realtà era una persona molto fragile. Non potevamo chiamarlo al suo telefono, così abbiamo contattato il carcere». Tre telefonate in cui i familiari ricevono rassicurazioni generiche. «Ma noi non eravamo tranquilli - continua Poletto - E alle 15.40 è arrivata la telefonata dell’ufficio matricole. “Mi scusi, devo comunicarle una cosa brutta. Suo marito si è suicidato” hanno detto a Silvia e poi hanno messo giù il telefono. Tutto è questo non è giusto! Noi siamo i primi a dire che chi sbaglia deve pagare. Ma non pagare così, con la vita».
Ultimo aggiornamento: 07:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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