Strage di 4 ragazzi a Jesolo, ritardo burocratico "grazia" l’investitore: niente carcere. I soccorritori: «Vergogna giudiziaria»

Venerdì 14 Ottobre 2022 di Brando Fioravanzi
L'auto capovolta nel canale, Jesolo 2019: 4 morti
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JESOLO - Marius Alin Marinica, 30enne romeno di professione elettricista, non andrà in carcere. L’uomo, che è stato condannato in via definitiva a 8 anni di carcere per omicidio stradale per aver provocato la morte di quattro giovani ragazzi a seguito di un incidente stradale avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 luglio del 2019 in via Pesarona a Ca' Nani (Jesolo), potrà ora far richiesta di accedere alle pene alternative alla detenzione. Il finale della lunga vicenda giuridica che è seguita a quel fatidico giorno non ha però trovato soddisfazione né tra i famigliari delle vittime né tra coloro che, in qualità di testimoni oculari di quanto accaduto, per primi cercarono di salvare le vite dei ragazzi poi morti annegati nella loro auto in un canale a bordo strada.

Un incidente causato dal violento urto, avvenuto a 100 km/h in fase di sorpasso, tra la Golf di Marinica (poi fuggito dal luogo del sinistro) ed una fiancata della Ford Fiesta su cui viaggiavano le vittime.

Marinica, infatti, a seguito di un “ritardo” burocratico non dovrà sottostare ad alcun giorno di carcere. Nello specifico, il problema risiederebbe nel fatto che la Corte di Cassazione non avrebbe notificato immediatamente alla Procura di Venezia la sentenza di condanna affinché si potesse procedere, entro la mezzanotte di ieri, a notificare il necessario ordine di carcerazione. Ad oggi, perciò, i termini risultano scaduti per buona pace di chi voleva vedere il 30enne romeno dietro le sbarre.

«Quello a cui abbiamo assistito in queste ore è una vergogna giudiziaria – sottolinea la trevigiana Erika Fischer, borsista di ricerca di diritto processuale civile all’Università di Padova e tra i primi soccorritori di quella triste notte nella quale tentò di salvare la vita dei ragazzi praticando loro il massaggio cardiaco –. Mi ritengo garantista e, per questo, penso che se un soggetto venga ritenuto definitivamente colpevole debba pagare. La rabbia per quanto successo, non lo nascondo, è quindi tanta. Vorrei chiedere al procuratore e ai sostituti procuratori perché nelle dodici ore avute ieri a disposizione non si sono ricordati di sottoscrivere l’ordine di carcerazione».

«Per le vittime è chiaro che non vi è giustizia e siamo il Paese nel quale chi ha ucciso quattro persone, e mai si è pentito, verrà premiato per un ritardo burocratico. In un periodo nel quale ogni giorno si verificano morti sulle strade, come può la Giustizia mandare il messaggio che qualsiasi cosa succeda non si pagherà? É questo il messaggio che vogliamo mandare ai nostri giovani? É questo il mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli? Mi sento disgustata, non perché avrei voluto vedere una persona in carcere ma perché chi sbaglia deve pagare – continua Fischer - Perché i nostri morti devono avere giustizia, perché le famiglie devono trovare pace e perché non può essere che per un ritardo burocratico chi ha ucciso delle persone innocenti l'abbia vinta. Mi appello ad Istituzioni, avvocati e magistrati affinché facciamo qualcosa per tornare a parlare di giustizia, quella vera e non quella politica o di opportunismo. Insomma, per dare anche solo un piccolo segnale a chi continua a guidare in stato di ebbrezza o con distrazione, dando così un po’ di giustizia a tutte le vittime della strada».

Le fa eco Raffaele Freda, consigliere comunale a Preganziol e anche lui tra i soccorritori negli attimi successivi all’incidente: «Nonostante otto anni di pena possano sembrare pochi, risultano comunque essere la pena massima che il Pm poteva chiedere per l’omicidio stradale. Ma questo non basta, anche perché è vergognoso che le famiglie debbano subire anche la beffa di non vedere in carcere l’investitore dei loro figli – chiosa -. La cosa triste è che la fiducia verso la giustizia si va così perdendo per le ormai note lungaggini burocratiche del nostro Paese. Non è infatti un caso di giustizia negata, ma di giustizia percepita come negata e la percezione, alla fine, è quello che conta davvero. Oltre alla sfiducia verso le Istituzioni si crea in questo modo il convincimento che sia meglio farsi giustizia da sé».

La vicenda avrà dunque degli strascichi sociali inevitabili, tanto che le famiglie delle vittime stanno già organizzando un bus da circa 60 persone con l’obiettivo di raggiungere Roma nelle prossime settimane. Questo nonostante l’esito giudiziario sia ormai definitivo. L’obiettivo, infatti, è quello di protestare di persona in merito a quanto accaduto, facendo così valere la loro voce per dare dignità a chi ha lasciato troppo presto sulla strada la propria esistenza.

Ultimo aggiornamento: 21:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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