Spinea. Uccise Lilia con 68 coltellate, ora Alexandru rischia l'ergastolo: «Costringeva la compagna a vivere in uno stato di annichilimento»

Martedì 30 Maggio 2023 di Nicola Munaro
Uccise Lilia con 68 coltellate, ora Alexandru rischia l'ergastolo: «Costringeva la compagna a vivere in uno stato di annichilimento»

SPINEA - Omicidio aggravato dai maltrattamenti e non più le due accuse distinte. Perché per la pubblico ministero Alessia Tavarnesi, la pressione - fisica e psicologica - che Alexandru Ianosi, 35 anni, romeno, saldatore della Piping System di Mirano, faceva sulla compagna Lilia Patranjel è parte della stessa storia conclusa poco prima della mezzanotte del 22 settembre 2022.

La sera in cui Alexandru uccise Lilia.

CORTE D'ASSISE

E l'imputazione di omicidio aggravato dai maltrattamenti è quella che ieri mattina ha portato il giudice dell'udienza preliminare, Antonio Liguori, a mandare a processo il trentacinquenne saldatore davanti alla Corte d'Assise di Venezia perché riti alternativi come l'abbreviato non si possono più chiedere quando la vittima dell'omicidio è un convivente, come in questo caso. Una modifica del capo d'imputazione non solo formale, ma sostanziale in quanto apre al pm la possibilità di chiedere l'ergastolo. La prima udienza andrà in scena il 4 luglio. Davanti all'Assise gli avvocati di Ianosi, i penalisti Francesco Neri Nardi e Chiara Di Leo, proveranno a giocare la carta della richiesta di una perizia psicologica sul saldatore da parte di un consulente della stessa Corte, composta da due magistrati e sei giurati popolari. Prima di ucciderla con "almeno 68 coltellate", si legge nel capo d'imputazione, Ianosi aveva costretto la sua compagna - con la quale aveva avuto una figlia - a vivere "in uno stato di costante frustrazione e annichilimento che la portava ad assecondare per paura ogni prepotenza di lui e, in una occasione ad abbandonare la casa per poi farvi rientro pochi giorni dopo" scrive il pm nel capitolo dell'accusa che specifica i maltrattamenti. Era geloso, la vessava e la offendeva, la accusava di non essere capace di fare la madre, la limitava nelle sue uscite, la minacciava di morte anche con un coltello dicendole "che l'avrebbe fatta a pezzi e rimandata in patria".

LA CHIAMATA

E alle 5 di mattina del 23 settembre, quella chiamata ai carabinieri che dava realtà all'incubo: «Venitemi a prendere, ho ucciso la mia compagna». Tutto era esploso la sera del 22 settembre: Lilia Patranjel aveva preso il coraggio a due mani per dire al suo compagno che l'avrebbe lasciato, stanca delle violenze che lei aveva denunciato, salvo poi ritirare la querela e bloccare l'iter giudiziario. L'uomo aveva reagito con violenza scagliandosi contro di lei con un coltello da cucina nel salotto del loro appartamento in via Mantegna. «Non capisco perché l'ho fatto, sono semplicemente devastato» aveva detto entrando in carcere. Poi in cella la decisione di piantarsi un manico di scopa in un occhio per punirsi. E a inizio gennaio la confessione.

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